di Silvia Trombetta

Sono la figlia di un femminicidio.
Mio padre ha ucciso mia madre. Di fronte a me. Le ha sparato. E basta. In Venezuela. Io avevo 12 anni. Ed è stata tutta colpa mia.
Erano molto giovani quando si sono conosciuti. Si sono amati e mia madre è rimasta incinta. Non lo volevano, non mi volevano. Non si amavano per avere un figlio, solo per amarsi, giovani. Ma io sono nata e loro sono rimasti insieme. Senza amarsi. Per colpa mia. Litigavano. Spesso, sempre. Lui era violento: urla, coltelli… Però sono nati altri due figli. Voluti. Il secondo perché era maschio. La terza, mia sorella, perché mio padre aveva deciso che voleva una figlia. Una che non ero io. Io sono rimasta quella che non volevano.
Poi un giorno basta. La lite, ancora, e mio padre l’ha uccisa. Fine.
Lui è andato in prigione. Noi siamo rimasti soli. Mio nonno ci ha presi, ci ha portati davanti a un orfantrofio e ci ha lasciati lì. Dopo un po’ siamo andati a vivere dalla sorella di mia madre. Ero grande ormai, volevo uscire, ma non volevano. Dovevo occuparmi dei miei fratelli. Ero la più grande appunto.
Quando mio padre è uscito di prigione io avevo 15 anni. Un femminicidio vale pochi anni di galera. Una donna ammazzata si dimentica subito. Era ancora mio padre e la legge diceva che dovevamo vivere con lui. Mi sono rifiutata. E me ne sono andata, in giro. A 17 anni sono venuta in Italia con una chiamata di lavoro. Un posto valeva l’altro. Non avevo nessuna ragione per vivere. Neanche l’odio per mio padre mi rimaneva. Neanche il desiderio di ammazzarlo. Anche quello ti tiene viva. Ma io niente. Nessun desiderio, nessun odio, nessuna vita. Solo mangiare, dormire, lavorare per mangiare e dormire. Qui o altrove era uguale. Comunque ero qui. Il Venezuela era lontano. Mio padre lontano. I miei fratelli pure. Ho conosciuto mio marito. Era gentile. Non mi faceva paura. Io ho paura dei maschi. Ma lui era paziente e non mi ha fatto paura. Anche nel sesso. E’ stato il mio unico uomo. Lui potevo lasciarlo fare. Non se era brusco però. Allora mi ricordava mio padre. E mi chiudevo. Lui capiva. Lui sapeva. E’ stato l’unico a sapere. Prima di oggi. Neanche ai miei figli ho detto mai nulla. Abbiamo avuto due figli. Io volevo un maschio perché le femmine fanno una brutta fine. Come me e mia madre. I maschi no. Il primo è maschio. Ero felice. La seconda è femmina. Quando è nata ho pianto. Non avevo mai pianto prima. Ora sono grandi. Vivono per conto loro, in un’altra città, lavorano.
Tre mesi fa mio marito mi ha parlato. Seduto al tavolo della cucina mentre girava il caffè che gli avevo preparato mi ha detto che da cinque anni ha un’altra donna. L’ho odiato. Come mio padre. E’ tornata la voglia di ammazzare. Come mio padre ha ammazzato mia madre. Come io non ho ammazzato lui. Come non ho ammazzato mio marito.