1922-copy_picdi Alice Valerio
Con l’arrivo del ciclo mestruale, a casa mia, si acquisiva l’appellativo di signorina. Mia madre, che aveva l’abitudine di elargire la sua saggezza in bagno -infatti quando mi doveva dire qualcosa d’importante, il luogo per eccellenza era quello- dopo averle confessato che qualcosa usciva dalle parti intime del mio corpo, mi prese per la mano e mi disse: “Alice sai questo cosa significa? Che sei diventata signorina!”. Poi il nulla. Un silenzio tombale. Signorina? Cosa poteva voler dire? Perché prima che cosa ero? Una bambina e ora non più? Mi arrovellavo pensando che diventare signorine forse voleva dire ben altro che essere bambine. Ma da mia madre non uscirono altre parole, se non ricordarmi che da quel preciso istante, avrei dovuto appuntarmi su un quaderno, ogni mese quando sarebbero arrivate le mie cose. Altro enigma: e perché? Anche qui non ricevetti una risposta precisa, ma solo: “lo devi fare, un giorno capirai”. A quel punto all’incertezza si affiancò la confusione, ma ben presto capii cosa significasse esser diventata signorina.
Di lì a poco compresi che per mio padre e i miei fratelli ero diventata un pericolo. Infatti mi erano iniziate a spuntare le tette, il mio aspetto cominciava a somigliare sempre di più a quello di una donna, per di più molto giovane e appetibile per il genere maschile.
Così iniziò una vera e propria ronda. Le mie uscite erano molto limitate: appena arrivava il buio dovevo tornare immediatamente a casa, non potevo più sedere sul muretto di fronte a casa nostra, perché poteva essere interpretato dagli uomini come un “mettersi in mostra”.
I miei fratelli puntualmente mi chiedevano il resoconto della giornata e uno dei due era particolarmente assillante con le domande. Insomma il fatto che io stessi diventando donna significò per loro una fonte di grossa preoccupazione, perché queste mestruazioni, prima o poi mi avrebbero portato a rimanere incinta e “a figliare”. Così io, che ero l’unica figlia, ero diventata un problema e da quel momento ero sorvegliata a vista.
La mia famiglia giornalmente si preoccupava che tutto andasse per il verso giusto. Nell’aria aleggiava una sorta di diktat, che col tempo per me, si trasformò in una specie di regolamento per signorine.
Ricordati che l’uomo è cacciatore.
Non devi dare troppa confidenza ai maschi.
Soprattutto non farti toccare da loro.
Dimostragli indifferenza.
Diffida da loro.
Tali regole furono talmente instillate nella mia mente, che a quindici anni, durante le feste dei miei compagni di scuola, mi si riconosceva da lontano: ero quella che mentre ballava i lenti teneva le braccia e le mani tese sulle spalle dei ragazzi, creando una distanza di un metro tra il loro e il mio corpo, come due marionette mosse dall’alto.
Ovviamente tutto ciò da parte mia fu imputato solo e unicamente al fatto che io, a differenza dei miei fratelli, avevo le mestruazioni.