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Photo by Yohann LIBOT on Unsplash

di Alice Valerio

Angelica ha un figlio. E’ piccolo ed è tutta la sua vita, ma lei non vede l’ora che cresca. Dalla sua nascita ha capito di non farcela. Non ha nessuno che l’aiuti: suo marito torna sempre tardi la sera e lei quando lo vede arrivare vorrebbe gridargli che se avesse saputo che questo figlio avrebbe dovuto crescerlo da sola, non lo avrebbe concepito. Ma non lo fa.
Flavio ha già imparato a prepararsi la colazione da solo. Apre lo sportello del microonde, non senza aver versato prima il latte nella tazza, e dopo averlo richiuso, posiziona la rotellina del forno sul numero uno. Come si era raccomandata la madre, non deve oltrepassare il minuto, altrimenti il latte diventerebbe troppo caldo. Flavio mentre aspetta quel minuto, prende dal cassetto una tovaglietta, un cucchiaio, la scatola dei biscotti e con la tazza in mano, non dimentica mai di prendere quella polvere di cacao che rende più dolci le sue colazioni, attendendo che sua madre si faccia forza per alzarsi dal letto.
Angelica passa spesso le sue giornate a letto indugiando su alcuni pensieri. Il ricordo della sua vita passata in famiglia, quando si era dovuta occupare di sua madre e dei suoi fratelli perché la madre era sempre stanca. Allora le viene in mente la frase di un medico “la malattia è di tipo familiare…”. Quando aveva conosciuto suo marito, Angelica aveva deciso di andarsene dalla casa dei suoi genitori, voleva riprendere in mano la sua vita, continuare gli studi, ma soprattutto sognava una vita insieme a Michele, era lui che voleva sposare, era con lui che voleva creare una famiglia, e tentare quella felicità che fino ad allora non aveva ancora provato. Quando era nato Flavio era stata felicissima, mostrava a tutti quel bimbetto come se fosse un trofeo. Presto però si era resa conto che portare in grembo un figlio era diverso dal crescerlo. Capì subito che di questa piccola creatura avrebbe dovuto occuparsi lei. “I figli sono di chi li partorisce”, le diceva sempre sua madre. Suo marito non si era mai preso dei giorni e mai lo avrebbe fatto.
Angelica spesso ripete a suo figlio, a volte a voce, altre volte solo tra sé “devi crescere in fretta, cerca di essere autonomo il più possibile: così posso riposare qualche ora, per affrontare le giornate successive e quelle dopo ancora”.
Flavio, senza fare troppe domande alla madre, si fa accompagnare a giocare a pallone dal servizio pulmini dell’associazione scuola calcio e ai giardinetti dalle madri dei suoi compagni di scuola.
Angelica ogni giorno chiede a Flavio se va tutto bene e lui da bravo bambino, le risponde che va tutto bene. E poi aggiunge: “mamma, perché non esci di casa? Perché non fai amicizia con le altre mamme?”.
Angelica non ha niente da dire alle altre mamme, non ha voglia di far trapelare il suo malessere, e spesso ripete a Flavio che un giorno ce la farà e si alzerà da quel letto che li divide.
Flavio ogni giorno va vicino alla madre e le chiede “oggi mamma come stai?”, “ti vedo meglio”. Angelica a volte risponde di sì, altre volte il suo sguardo è fisso e lei resta assorta nei suoi pensieri, riuscendo a rispondergli solo dopo un po’, allora lui si accorge che quella non è stata una buona giornata.
Il bambino pensa che per far alzare sua madre dal letto deve intervenire in uno di quei momenti positivi, quando il suo sguardo è vivido e più ricettivo.
Un giorno si mette in testa di essere più forte di quel potere che tiene sua madre avvinta al letto. Tornato da scuola, si dirige verso la sua stanza e le dice: “mamma tra qualche giorno è il mio compleanno, vorrei fare una festa, perché non facciamo le prove?”. Con gli occhi lucidi, Angelica lo abbraccia, “cosa vorresti fare?”, gli chiede, “mamma, vorrei fare quel gioco che facevamo tanto tempo fa: quando io ero il cuoco e tu la mia assistente”, le dice allegramente. “Va bene, Flavio, allora tu ed io prepareremo una bella torta, perché oggi è un giorno speciale: oggi mamma si alza, si veste ed esce a comprare la farina e il lievito per fare la tua torta di compleanno”.
“Posso venire con te?”.