di Maria Carmela Brandi

Nilde passeggiava tra i vicoletti del centro storico di Policastro, aveva abbassato la mascherina e respirava profondamente: ad ogni respiro buttava giù l’aria, chiudendo gli occhi come per ritrovare in quei respiri i ricordi della sua vita passata. Osservava le mura vecchie e antiche delle case: le piaceva arrivare nel punto più alto del paese dove le viuzze si stringono intorno ad una torre da cui si può vedere il mare. Ripercorreva sempre lo stesso tragitto quando tornava in paese, dopo aver trascorso tutto l’inverno a Firenze.
A Policastro di solito passava solo qualche giorno nel mese di luglio, però a causa della pandemia aveva deciso di rimanere tutto il mese in paese. Poteva lavorare in smart working, un’occasione per vivere il distanziamento sociale nella natura. Poter stare all’aperto un’estate che si annunciava torrida le dava un senso di grande libertà e le faceva apprezzare i preparativi per le vacanze che il tempo aveva reso consuetudini vuote e prive di entusiasmo.
Nilde aveva ripreso a camminare e si era ritrovata nella piazza del centro storico, era sabato mattina ed era già piena di turisti ai tavolini dei bar, tutti con le mascherine sul viso.
Tra la folla aveva riconosciuto a stento Corrado appoggiato alla sua Suzuki ultimo modello davanti al bar, proprio come l’ultima volta, tanti anni prima.
Anche Corrado si era accorto di lei e l’aveva salutata con una smorfia, un misto di complicità e intesa.
In un attimo era tornata indietro di anni: era appoggiato alla sua moto a parlare di donne e motori con gli amici, proprio come quando erano ragazzi.
Niente era cambiato per lui. Eccetto il fatto che si era imbruttito. Era invecchiato, con la pancia e la barba incolta, con il fisico deformato e il suo sguardo angelico, che Nilde aveva tanto ammirato, ormai era spento.
Eccolo Corrado com’era diventato.
Lui che si era approfittato del suo amore e della sua venerazione.
Si rivedeva quando buona buona, si metteva da parte in silenzio e aspettava che arrivasse anche il suo turno e che lui si ricordasse di lei.
Odiava l’estate, perché con la bella stagione Corrado e i suoi amici facevano la posta alle turiste e non c’era spazio per le paesane.
Quelle, le ragazze di fuori, erano esigenti, richiedevano del tempo per visitare il paese e le spiagge di giorno, la sera invece bisognava accompagnarle a cena e poi in discoteca. Gli amici della cricca facevano a gara per accaparrarsi l’attenzione della più bella nuova arrivata e sfoggiarla sulla moto comprata da poco, l’ultimo modello della Suzuki, scelta sulla rivista Moto e motori durante i pomeriggi invernali trascorsi al bar.

Adesso aveva l’immagine davanti agli occhi: il prato, gli alberi del bosco del paese le rocce umide di un pomeriggio invernale di tanti anni prima.
Lui che la invita a salire sulla sua moto, lei che emozionata si stringe ai suoi fianchi. Sfrecciano veloci sulle strade a picco sul mare, il vento le impedisce di tenere aperti bene gli occhi, sente il sapore salato delle lacrime che non sa se scendono per l’aria o per l’euforia del momento.
Corrado si ferma, non si volta a guardarla, non l’abbraccia.
Distesa sull’erba, era la sua prima volta. Voleva dimostrare a Corrado di essere una ragazza coraggiosa, che amava l’avventura e che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di stare con lui.
Sente ancora il corpo pesante di Corrado e il dolore lancinante.
Il cielo che prima era azzurro era diventato plumbeo.
Tutto intorno aveva iniziato a girare prima lentamente poi più veloce, si era sentita risucchiata da un vortice, le sembrava lo stesso vortice della giostra su cui amava fare dei giri in occasione della festa del paese. Il vortice aveva avvolto solo lei, Corrado ne restava fuori: era diventato una sagoma confusa davanti ai suoi occhi, un puntino che ritornava ad ogni giro.
Dopo tanto tempo quel vortice le era ritornato alla mente, quel pomeriggio in cui aveva lasciato il suo mondo di fanciulla, per provare cosa significhi essere donna.
Aveva odiato Corrado, aveva odiato il paese.
Dopo il diploma aveva deciso di continuare gli studi, di darsi l’occasione di emanciparsi. Non aveva mai dimenticato le sue origini, ma considerava Firenze la sua città di adozione perché le aveva permesso di essere la donna che era oggi.
Era riuscita a realizzare il sogno di diventare autonoma. Era diventata un’insegnante di scuola superiore, aveva conosciuto Luigi, si erano innamorati e sposati, avevano un rapporto fatto di rispetto, stima e affetto.
L’apparizione di Corrado l’aveva riportata indietro di anni, quando aveva cercato l’amore ed era stata umiliata.

Lei si era sistemata bene la mascherina sul naso e sulla bocca, si era fermata davanti a lui, guardandolo intensamente negli occhi, ecco ti sto guardando tu sei quella nullità, quel puntino, gli aveva detto con gli occhi.
Corrado aveva abbassato lo sguardo arrossendo e si era precipitato sulla moto, dileguandosi. Un puntino che si allontana e sparisce.
Con lui era svanito anche il ricordo di quella ragazza nostalgica e trasognata che lo aspettava in disparte.