di Anna Maria Brigida

Il vicinato oggi, in realtà, è qualcosa di obsoleto. Si parla in termini di condominio, di condomini, di assemblee di condominio, famose per la loro lungaggine e, spesso, per le possibili veementi litigate. Si fa riferimento alla proprietà di ognuno e di tutti. Avverto ancora l’emozione che provai alla mia prima assemblea condominiale. Era verso la fine di maggio o la prima metà del 1990, appena prima degli scrutini delle classi della “Sibilla Aleramo” Istituto Statale Superiore Femminile per Puericultrici. Avevo un invito a cena da una delle classi, la quinta C, insieme agli altri docenti e, tra l’altro, ero pure febbricitante. Notai subito che mi avevano affibbiato un’eccedenza d’acqua: stentai a credere che fosse voluta, per me e per una ragazza russa che non era presente e che forse aveva dato il foglio per rappresentarla al vecchio amministratore, mentre questi cedeva il posto al nuovo. Io, un po’ per la febbre alta, un po’ per la cena con le mie alunne, alla quale non volevo mancare, dopo che una signora che aveva continuamente baccagliato, disse “approvo”, lo ripetei, dandomi la zappa sui piedi. Per ben tre anni, io e la ragazza russa, abbiamo pagato il triplo del dovuto mensile condominiale, sobbarcandoci una buona parte delle quote degli altri condomini che se le sono viste alleggerire di parecchio! Questo “cattivo” amministratore, appoggiato dal vecchio e da buona parte dei condomini, veniva a casa a ritirare l’assegno. Mi rimane una piccola soddisfazione: non glielo diedi l’ultima volta che bussò alla mia porta quando esasperata, gli risposi con un No liberatorio. In seguito “scappò via con il malloppo” e votammo la nuova amministratrice, al momento ancora in carica. La informai della truffa ordita nei confronti miei e della ragazza russa e di volerne parlare alla prossima assemblea. Lei a sua volta mi informò che quel poveretto era gravemente ammalato di cancro. Mi consigliò di chiamarlo, cosa che feci. Fu contento di sentirmi e di sapere che avrei pregato per lui. Di fronte alla morte così vicina non si può fare altro che pregare e fare silenzio. Mi resi conto che il vero motivo della sua sparizione era la malattia che ancora, all’epoca dei fatti, veniva chiamata “quel brutto male” da non dire assolutamente: meglio piuttosto passare per ladro! Ladro, in verità, lo era stato, in modo diverso, con me e con la ragazza russa, e con la complicità degli altri “nostri vicini”, appunto i condomini. Quando, dopo varie richieste all’attuale amministratrice, fu esaminata la mia richiesta di essere risarcita dai condomini dei soldi non dovuti che pagai, in quei tre anni, per loro, seguì un silenzio gelido. La signora del primo piano, che in qualsiasi cosa professava sempre la sua fede nel Signore: “io ho la fede”, diceva sempre, guardava per terra facendo orecchie da mercante insieme a coloro che non avevano quella sua fede. La mia giusta richiesta non fu mai evasa.
L’anno scorso nei mesi della chiusura per la pandemia, la coppia di sposi che abita al secondo piano, “gli artisti” li chiama il locatario, affissero al muro dell’androne un foglio firmato mettendosi a disposizione degli inquilini dello stabile dai settanta anni in su, che avessero avuto bisogno di aiuto per la spesa. Io risposi scrivendo che mi avvicinavo ai settanta e che avrei gradito un loro aiuto, firmando a mia volta. Non risposero affatto. Allora imbarazzatissima, corressi prima e poi cancellai bene con la biro lo scritto. In seguito, quasi subito, il foglio fu tolto.
I familiari lontani, le amiche che si allontanavano e i vari gruppi culturali che non potevo più frequentare sempre a causa della pandemia, mi spinsero a prendere un cagnolino: un chihuahua nero di appena due mesi pagato un occhio della testa che non seppi gestire. Lo diedi a una coppia che incontrai per strada e che accolse con slancio il piccolo cagnolino. So da una mia amica che ha una “cana”, come dice lei, che lo incontra spesso al parco e che sta bene. So che lo adorano: sono sicura di averli visti la vigilia di Capodanno, all’incrocio della stessa via dove ci imbattemmo la prima volta, lei, Gwen, con il suo cane e io con il mio che letteralmente impazzì per il suo. Erano un po’ più giù e io correvo invitata dalla mia amica con l’ingombro del rustico che avevo infornato. L’ho visto con quelle orecchie grandi, irrobustito, bellissimo. Mi manca quel piccoletto capace di giocare contemporaneamente con due e anche tre cose, curioso di ogni angolo della casa.
Quattro anni fa circa, a marzo è nata Marta: la mamma mise questo bel segno sulla porta d’ingresso e lo ha tenuto per parecchio. Io mi affrettai a farle un pensierino e, coinvolsi la mia vicina di porta che, anche lei a sua volta lo fece. Una sera c’era aria di festa in quella casa: invitati, schiocchi di baci, risa squillanti, tanta gente, ma noi, le vicine, fummo escluse. Accadde anche con il compleanno della primogenita al primo piano: ne venni a conoscenza per le scale. L’assenza dell’ascensore permette almeno un qualche rapporto umano. Era proprio quel giorno stesso. Corsi alla Feltrinelli e, approfittando della scelta di una signora che aveva preso un libro adatto alle ragazze di quella età, andando a colpo sicuro, lo comprai, glielo dedicai per il suo compleanno, lo feci incartare e glielo consegnai con i migliori auguri. La sera arrivarono i tanti invitati, io non fui invitata comunque. Il giorno dopo incontrai il papà con le due bambine e non accennò a nulla. In seguito chiesi alla mamma se il libro era piaciuto e lei rispose con un sì piuttosto vago. Di recente però, nel periodo precedente le festività, ci siamo incontrate al bar sotto casa: io stavo facendo colazione, lei era al telefono, che non ha mollato neanche per bere il suo caffè, tuttavia dopo aver terminato la conversazione, ci siamo salutate e lei si è interessata a come avrei passato il Natale e il Capodanno. Sapendo che sono sola mi ha detto di non avere remore nel chiedere, qualsiasi cosa di cui avessi bisogno. Certo, non mi ha fatto un invito esplicito: avrei dovuto io bussare alla sua porta e chiedere di essere accolta. Mi ha ricordato di quelle volte che ho avuto bisogno, ho bussato alla sua porta e lei mi ha dato ciò che chiedevo. Si trattava per la verità di qualche ingrediente, di cui scoprivo la mancanza all’ultimo momento, come lievito o farina, per i miei pasticci salati o dolci, che poi ho sempre condiviso con loro. So che la mia cucina è ben apprezzata fuori dal vicinato. A queste ghiottonerie non c’è mai stata nessuna reazione né da parte sua né del compagno o delle figlie, almeno la prima, come al libro per il suo compleanno. Appena uscite dal bar, lei si è defilata perché ha visto un’amica, con cui si è data appuntamento nel primo pomeriggio per andare insieme “in quel negozietto vicino Oviesse che vende tante cose carine in pelle per i regali”. Ho preso al volo la sua idea: ci sono stata la mattina del giorno dopo per completare i regali alla mia amica Cristiana che mi aveva già invitata per le due vigilie di Natale e di Capodanno.