di Liliana Paganini

Anna l’aveva programmata da mesi quella riunione. Aveva inviato messaggi WhatsApp a tutti quelli che era riuscita a ritrovare, facendo salti mortali. Non era stato semplice dopo 20 anni riunire per la prima volta i compagni di liceo, soprattutto perché aveva frequentato la scuola senza passione, sentendosi a disagio nella classe perché i risultati non pareggiavano le aspettative né dei suoi insegnanti né dei suoi genitori. Un’unica amica, Elena, la sua confidente e spalla per le lacrime della sua adolescenza difficile, era ancora presente. Degli altri non aveva più notizia. Attraverso i social qualcuno era riuscita a raggiungere, molti però non c’era stato verso di trovarli. Comunque, su trenta, ne aveva rintracciati venti e almeno dodici avevano risposto all’appello per la cena. Aveva prenotato un bellissimo ristorante sull’Appia antica, uno di quelli con parcheggio e ampi spazi, un posto dove avrebbero potuto fare baldoria. Voleva cantare, ballare, insomma fare, con i suoi ex compagni, tutte quelle cose che le erano mancate, compreso l’orrido trenino, da festa di dopo lavoro ferroviario. Sì, perché ricordava con piacere le poche feste di compleanno alle quali era stata invitata e, arrivata alla soglia dei quarant’anni, poteva dire di non aver provato mai più quella semplice e sciocca felicità. La cena, dopo ampia discussione, era stata fissata per il 28 marzo, un sabato. Essendo ansiosa di carattere, aveva prenotato con largo anticipo. Senonché, inaspettatamente era arrivato il lockdown a romperle le uova nel paniere! Dopo tanta fatica tutto era perduto. Elena, la sua consolatrice, le aveva suggerito di cavalcare l’onda del momento e trasferire l’incontro su Zoom. Dopo una breve riflessione, avevano deciso di spostare la data, per dare la possibilità a tutti, anche a quelli non avvezzi alla tecnologia, di attrezzarsi. Anna era stata perentoria, voleva una cena in comune, non una di quelle noiose riunioni, alle quali per lavoro, era obbligata a partecipare. Avevano studiato insieme un menù semplice che tutti avrebbero potuto preparare: penne all’arrabbiata, scaloppine al limone e insalata. Per le bevande avevano lasciato libertà di scelta.
Elena si era sforzata di rivendicare una sera per sé in modo gentile e indolore. Aveva divulgato la notizia un po’ alla volta, dosandola bene, per farla accettare alla sua problematica famiglia. Il marito, che inizialmente era sembrato offeso per l’oltraggio, dopo tre o quattro giorni, aveva accettato di concederle quella piccola autonomia. Più complicato invece era stato convincere i ragazzi, che non volevano proprio saperne e, abbarbicati alle sue gonne, pretendevano di partecipare anche loro. Alla fine aveva barattato la sua ora di libertà con lasagne, cotolette e patatine fritte per loro. Lo sforzo valeva la ricompensa di essersi riappropriata, per una sera, del diritto di essere una persona, oltre che madre e moglie.
Anna non aveva problemi del genere. Era una donna in carriera. Anche lei si era sposata giovane, appena finita l’università, ma altrettanto giovane aveva divorziato e soprattutto, non aveva figli a contendergli tempo e computer. La pandemia si era dimostrata una cartina al tornasole per la sua solitudine. Prima dell’11 marzo temeva la solitudine, dopo l’11 marzo aveva scoperto che la solitudine era la sua unica compagna di viaggio. Elena… è vero, sì, era un’amica, ma aveva la sua famiglia. E poi un’amica non può sostituire un compagno.
Si davano appuntamento al supermarket e, scivolando con i carrelli tra i corridoi, scambiavano qualche frase guardandosi negli occhi, l’unica parte del corpo rimasta scoperta. Certo, si sentivano anche al telefono, fra la preparazione di un pasto e l’altro, una riunione zoom, i compiti dei ragazzi, e le mille esigenze del marito di Elena, che non la lasciava respirare.
Con la pandemia Anna si era sentita persa, la sua vita era radicalmente cambiata. Sola. Senza i suoi colleghi di lavoro. Senza il pasto consumato al bar sotto l’ufficio. Senza l’immancabile aperitivo, che spesso sostituiva la cena, con le sue colleghe, single come lei. Immobilizzata dentro una casa che scopriva ora non adeguata al suo nuovo stile di vita, la mancanza di Lucinda si faceva sentire, ma era troppo pericoloso farla venire a pulire, perché si spostava in metropolitana. Avrebbe dovuto comprarsi finalmente una lavastoviglie e una lavatrice, ma in un appartamento così piccolo lo spazio non c’era. Avrebbe potuto rinunciare alla vasca idromassaggio, sostituendola con una doccia, per far posto a una lavatrice, e al piccolo tavolo in cucina per una lavastoviglie. Ma questo significava fare lavori in muratura, che nella situazione nazionale del momento, non si poteva. Comunque poi, non era brava a cucinare e per fortuna con tutte queste nuove App poteva ordinare tutto quello che desiderava e i pasti arrivavano con tutti i loro imballi di carta e le posate ecologiche, così non doveva sporcare nulla.
Per Elena, la pandemia aveva evidenziato altri problemi. Non certo la solitudine. Si sentiva letteralmente soffocare. Lo smart working del marito, la DAD dei figli, la mancanza della colf per timore del contagio, le avevano creato una gabbia che la imprigionava senza pietà. Ormai il suo unico momento di relax era andare a fare la spesa, dove si soffermava a leggere gli ingredienti delle merendine, aspettando che arrivasse Anna per fare quattro chiacchiere in santa pace. Prima del Covid19, la sua vita di casalinga, che pure le sembrava frustrante, risultava ora un tempo leggendario come l’età dell’oro. Ricordava con grande piacere quelle mattine silenziose e assolate, quando, dopo aver accompagnato alla porta i figli e il marito, si preparava la piccola macchinetta del caffè, dopo aver acceso la radio sul programma di musica classica, e volteggiava per la casa danzando. Un tempo felice che con l’affollamento di ora in casa sua non era immaginabile. Quelle ore tutte sue, le mancavano terribilmente. Adesso non aveva un attimo di tregua, la braccavano persino in bagno. Delle volte si sorprendeva a pensare a una via di fuga. Ricordava un film americano in cui una madre, moglie e casalinga, abbandonava il marito e il figlio appena nato, prendeva un pullman e si rifaceva una vita in un altro stato. Senza troppi sensi di colpa.
Forse lei non ne avrebbe avuto nessuno. Si sentiva in colpa però, per questa sua assoluta mancanza di sensi di colpa.
Finalmente era arrivata la sera della cena. Aveva conquistato la stanza da pranzo confinando la ingombrante famiglia in cucina col divieto assoluto di affacciarsi, pena una settimana di sciopero ai fornelli. La riunione zoom era stata lanciata e lei era stata la prima a collegarsi.
Anna si osservava soddisfatta nella finestra di Zoom: sfoggiava per l’occasione una camicetta di seta verde bosco comprata a Londra l’anno precedente, che contrastava bene con i suoi capelli biondo scuro dai riflessi rossastri. L’aveva conservata per un’occasione speciale, che non era poi mai arrivata. Aveva truccato le labbra con un rossetto di tonalità calda tra il rosso e il marrone. Gli occhi, che tendevano al verde, risaltavano con un ombretto dorato.
Bene, si sentiva una brava padrona di casa in attesa dei suoi ospiti. Eccezionalmente stasera aveva cucinato lei. Le ricette le aveva reperite su Internet. Aveva chiesto poi consigli a Elena e alla fine ce l’aveva fatta! Ma perché c’era solo Elena collegata? Possibile che nessuno dei suoi ex compagni si fosse presentato? Erano già passati più di dieci minuti, ormai si stava rassegnando all’ennesima cena in virtuale tête à tête con la sua migliore amica, quando si era materializzato Paolo. Stupore. Prima di ammetterlo alla riunione aveva chiesto: “Elena, ti risulta un Paolo tra i compagni di classe?”. “No, che io ricordi, non c’è mai stato un Paolo…”. “E allora, questo chi è?”. “Un imbucato?”. “Dai Elena, non scherzare!”. “E perché? Che ne sappiamo, magari è di moda imbucarsi su Zoom… Ma sai che è una situazione intrigante? Ammettilo! Su, ammettilo!” E lo aveva ammesso. Avevano scoperto poi che a Paolo era stato recapitato un invito regolare via WhatsApp: Anna aveva semplicemente scambiato un 8 con un 9 nel numero di telefono. Un classico lapsus freudiano e invece di invitare Matilde, che peraltro era stata prima della classe anche in antipatia, aveva invitato Paolo. Un bel tipo, un po’ più giovane di loro, sui trent’anni, decisamente interessante.
Appurato che non era un imbucato, c’era da capire come mai lui avesse accettato di partecipare. I motivi non mancavano. Si trovava per lavoro a Parigi, trasferito tre mesi prima da Milano. Non aveva amici e, visto che ora c’era il lockdown e lo smart working, gli era parsa una buona occasione per passare una delle sue lunghe serate. Si era divertito a preparare la cena richiesta, lamentandosi che fosse un po’ banale: la sua appariva più appetitosa della loro. Unico neo, forse, che aveva scelto di bere birra!
Anna sembrava abbastanza divertita da questo incontro inaspettato, che aveva sicuramente mitigato la cocente delusione per essere stata abbandonata dagli ex compagni di classe.
Elena sembrava sconvolta. Durante la cena aveva parlato pochissimo. Il suo sguardo era perso nel vuoto, concentrata in non si sa quali pensieri che la facevano trasalire di quando in quando, durante la conversazione garbata e ironica tra Anna e Paolo. Terminata la cena, quando Anna aveva lanciato un possibile nuovo incontro via zoom e Paolo aveva proposto una cena con ostriche e Champagne, si era finalmente rianimata e aveva rilanciato: “Ma noi mica stiamo a Parigi! Qui troviamo con facilità solo vongole e cozze…”. Paolo allora aveva suggerito: “Va bene, allora facciamo cozze e Frascati! Non dovrei avere problemi a trovarne una bottiglia qui.” E così si erano dati appuntamento per la settimana seguente. Chiuso il collegamento, Elena, col viso visibilmente accaldato, gli occhi brillanti come in preda alla febbre, aveva confessato ad Anna di aver provato qualcosa di profondamente inatteso. Una sorprendente eccitazione alle vibranti note della voce di Paolo. “Pazzesco. Capisci? Non lo conosco nemmeno. A guardarlo, sì è un bel tipo, però non mi dice granché. La sua voce invece mi vibra dentro, facendomi impazzire dal desiderio. È incredibile, non provavo queste sensazioni da quando avevo sedici anni, col mio primo amore. Se qualcuno mi avesse parlato di un evento simile, non ci avrei mai creduto. E ora succede proprio a me… Pazzesco”.
Anna cercava di capire, ma le riusciva decisamente difficile. Guardava la sua amica e pensava che lei non aveva mai sperimentato una cosa simile. Certo Elena era sempre stata una donna incline alla sensualità. Almeno così la vedeva. Lei no, lei era troppo razionale. Non poteva neanche immaginare di provare certe sensazioni lei, al di fuori di un letto, in un programmato week end sentimentale.
Per la prossima cena zoom Anna si era ripromessa d’invitare almeno altre tre persone. Un tavolo da sei per lei era il non plus ultra. Forse così avrebbe stemperato le furie sensuali di Elena. Col passare dei giorni però le fantasie dell’amica non diminuivano, semmai aumentavano nell’ansia di rivedere, o meglio, di risentire Paolo.
Ed ecco che una settimana era passata e la riunione zoom stava per essere lanciata. Questa volta contava sulla presenza di quella gatta-morta di Agnese perché, scusandosi di non aver potuto partecipare alla cena precedente per via di un guasto alla sua ADSL, aveva telefonato il giorno dopo e Anna si era sentita in dovere di rinvitarla, considerando che era stata l’unica della classe a giustificarsi per l’assenza. Claudio e Alfonso completavano il tavolo, una simpatica, attempata coppia gay, che Anna aveva conosciuto anni prima in una crociera nel Mediterraneo.
Cozze e Frascati si rivelò un vero successo. Visto che non era indicato come dovessero essere cucinate, ognuno lo aveva fatto a suo gusto. A sauté, come Anna, col pomodoro, come Elena, oppure con latte e aglio, come Paolo. Agnese le aveva gratinate e infine Claudio e Alfonso non avevano resistito a un piatto di spaghetti alla tarantina. La conversazione era stata piacevole e, visto che la compagnia si presentava eterogenea, gli argomenti toccati erano stati tanti e insoliti. Dall’inequivocabile e ansioso tema del momento per fortuna si era approdati poi alle serie televisive su Netflix, affrontando poi il tema di una prossima eclissi lunare, e da lì si era passati ai licantropi e ai mostri dell’Es del famoso film “Il pianeta proibito”, quindi a Freud: ad Eros e Thanatos in “Al di là del principio di piacere” e avevano a lungo disquisito sul concetto di omeostasi e di nirvana. Tutti avevano detto la loro sull’argomento, anche se nessuno aveva realmente letto il saggio di Freud. Elena, nella conversazione generale, era apparsa insolitamente taciturna, Anna lo attribuiva allo scombussolamento dato da quell’improvviso attacco di Eros e, in effetti, sembrava trasalire ogni qual volta Paolo, che risultò essere un appassionato dell’argomento, prendeva la parola per spiegare che la libido da una parte è vita, perché il suo scopo è perpetuare la specie e, dall’altra, contiene un profondo e misterioso desiderio di morte.
Finito l’ultimo brindisi, la tavolata virtuale decise di rinnovare l’incontro per la settimana seguente. Scherzando Paolo azzardò: “Peccato che con questo ritiro forzato non riesca a trovare dei tartufi, vi farei un risottino niente male, anche se in questa stagione si trovano quelli neri… Devo confessare che ne vado pazzo.” Elena, come risvegliandosi da un lungo letargo, prese la parola per proporre i funghi in alternativa ai tartufi, come tema della nuova cena, accoppiati a del buon Chianti. Tutti accettarono piuttosto contenti la proposta e si congedarono.
Le due amiche restarono sole e Elena, presa da un profondo sconforto, confessò all’amica che quella riunione per lei era stata una vera tortura perché, quando le risuonava dentro la voce di Paolo, sentiva che non aveva più senso vivere la sua vita di madre e moglie. Intuiva però di non avere nessuna speranza di fondare un legame duraturo con Paolo e riscontrava impossibile un miglioramento della sua condizione attuale. Anna era a dir poco sconcertata dalle condizioni dell’amica. In tanti anni di conoscenza, anche intima, durante i quali si erano raccontate tutte le loro avventure: dal bacio del primo amore, fino alla prima notte di matrimonio, mai aveva letto tanto disorientamento e tanta disperazione nello sguardo di Elena. Non sapeva però cosa fare, come prenderla, come consolarla. Tuttavia nei giorni seguenti, l’umore di Elena sembrò migliorare. Tutta presa dal prossimo incontro, tremava d’eccitazione. Aveva deciso di cucinare una cena memorabile: voleva fare colpo su Paolo. “Lo prenderò per la gola! Ho sentito che i nuovi Dpcm permettono di raggiungere le seconde case per necessità. Voglio andare per funghi nel bosco, vicino alla mia casa in Toscana. Ieri ha piovuto, siamo a metà aprile ormai, so dove trovare i porcini. Vedrai sarà un piatto mitico!” Anna era sorpresa di fronte a tanta determinazione, “Comunque, se non altro, sta meglio”, pensava.
E in effetti Elena sembrava aver ripreso vita con lo scopo di quella cena. Decise di spostarsi con tutta la famiglia in Toscana per il week end. Giustificazioni ce n’erano, le finestre che si erano aperte durante l’ultimo temporale, che andavano richiuse, sperando che nessun vetro si fosse rotto. La domenica ne approfittò per fare un giro per funghi. Il lunedì, tornando in città, chiamò Anna, dicendole: “Purtroppo non sono riuscita a trovare i porcini, però ho trovato altri tipi di funghi che forse sono anche meglio. Voglio farne un risotto per tutta la famiglia, ma devo calcolare bene i tempi.” Anna, che non aveva alcuna pratica né di funghi, né di risotti, si chiese che volesse dire, ma decise che non valesse la pena di approfondire l’argomento.
Il mercoledì, giorno che avevano fissato per la nuova riunione conviviale, Elena appariva insolitamente calma e serena, come se finalmente si fosse resa conto dell’assurdità della situazione e si fosse messa l’anima in pace. Anna, quando le telefonò di mattina per avere dei consigli su come cucinare i funghi, la trovò tutta concentrata sul suo risotto: “Voglio preparare un risotto memorabile. Che ognuno di voi possa immaginarne il sapore e l’odore, che sia insomma un addio indimenticabile a questo mio impossibile sogno d’amore.”
All’ora della cena, per primi si presentarono Claudio e Alfonso i quali, pasta dipendenti, sfoggiavano delle tagliatelle all’uovo fatte a mano da Claudio, naturalmente ai porcini, una vera rarità, considerando che la farina era scomparsa dagli scaffali dei supermercati. Agnese, di origine veneta, si era impegnata in una polenta con funghi misti. Anna portò a tavola due grandi cappelle di porcini alla piastra e Paolo si presentò con una zuppa di funghi chiodini con crostini di pane. Elena apparve per ultima. Arrivò trafelata, espose un magnifico risotto all’onda con funghi misti e giustificò il ritardo dicendo: “Ho dovuto far cenare prima la mia famiglia, i ragazzi non volevano proprio lasciarmi andare. È stato necessario occuparsi prima di loro.” Il risotto, come promesso, appariva molto appetitoso, la consistenza perfetta, era decisamente attraente. Elena si presentava al suo meglio, si era sistemata i capelli che sembrava quasi uscita da un parrucchiere, si era truccata con cura scegliendo un ombretto azzurro pastello che metteva l’accento sui suoi occhi castani con riflessi dorati. Si era vestita con un abito nero con ricami blu. Eccessivamente elegante, sembrava fuori luogo, in quella riunione conviviale di amici. Anna si chiese se effettivamente l’amica avesse rinunciato al suo sogno impossibile, e la risposta le parve ovvia, no. Poi però, ripensando a quello che Elena le aveva detto la mattina, si convinse che il suo look fosse dovuto a una sua propensione al teatro e le apparve in assetto da scena madre e, ad avvalorare la sua convinzione, arrivò anche la bottiglia di Pommery, con cui si accingeva a cenare. Sicuramente non l’aveva comprata per l’incontro, doveva far parte della sua cantina per le grandi occasioni. Chissà cosa avrà detto il marito, pensò. Sicuramente uno spreco per una cena in riunione zoom!
Appena decisero di iniziare a gustare il cibo, Anna notò che l’amica stava trattenendo le lacrime, come quando a quindici anni si era presa una terribile cotta per il giovane supplente del professore di scienze, che dopo due settimane era scomparso nel nulla. Mamma mia, la stessa espressione, le stesse lacrime trattenute di fronte al rientro in cattedra del vecchio, arcigno professore… Altro che rassegnata! Era preoccupata che l’amica scoppiasse a piangere come un’adolescente. Ma Elena, ingoiate le lacrime, con un sorriso misterioso prese il suo primo boccone e lo gustò, approvando il suo risotto. La conversazione si snodava fluida, simpatica, grazie anche al contributo di Paolo, che col suo ottimistico buon umore infondeva fiducia e speranza per l’avvenire. Tutti contribuivano e le voci si accavallavano con allegria. L’unica era Elena che appariva distratta, alle domande rispondeva quasi a monosillabi e più volte aveva escluso il microfono. Anna, sorpresa dal comportamento dell’amica, le chiese la ricetta dell’ottimo risotto che aveva preparato. Elena non poté evitare di rispondere e, mentre sciorinava la sua spiegazione, si sentirono in lontananza, allarmate, le voci e i richiami del marito e dei figli. Anna li riconobbe e pensò che con una famiglia così, lei sarebbe impazzita. Ma Elena, per niente preoccupata, continuò imperterrita la conversazione, sorseggiando il suo Pommery, intanto nel sottofondo, progressivamente le voci diminuirono d’intensità, fino a sparire. A quel punto, e solo allora, Elena voltò lo sguardo in direzione della porta e sospirò, poi girandosi di nuovo verso il computer fece come una smorfia, dilatò gli occhi e si piegò sul ventre urlando. Anna gridò: “Che succede, Elena?”. Tutti la seguirono e sgomenti gridarono. Paolo, con grande senso pratico, disse: “Caspita! Ma chiamate al telefono la sua famiglia!”. Anna immediatamente seguì il consiglio. “Non risponde nessuno!” disse, “ma è impossibile, devono essere tutti lì. Non possono uscire.” Agnese, terrorizzata, urlò: “Oddio questa terribile pandemia! Chiamate un’ambulanza, presto, qui stanno morendo tutti di Covid!”. Intanto Elena, in preda ai furori della sua scena madre, accasciata sul tavolo di fronte al computer, rigurgitava risotto, funghi e parole: “Avvelenati, li ho tutti avvelenati. Come loro hanno avvelenato me per anni. Ho scelto i funghi più potenti. Me ne vado coi miei sogni impossibili. È inutile Anna, i soccorsi non faranno in tempo…”. La testa appoggiata sul pc ora farfugliava suoni senza senso. Con un ultimo sforzo, atteggiò le labbra a un sorriso e poi, chiudendo la bocca a cuore, gettò un bacio in direzione della piccola icona che ospitava l’immagine del viso stravolto di Paolo. E così rimase, immota.