di Fabrizia Fedele

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Dopo quindici giorni di isolamento forzato le era venuto naturale pensare a lui. Alberto. Anche se non lo sentiva più da due anni.
Lo aveva ignorato per tutto questo tempo. Certo, ogni tanto le veniva in mente, lo pensava nudo mentre facevano l’amore, eccitati. Ma poi lo riponeva nell’ordine del passato che non può più esistere.
Fino a ieri. Allora il pensiero di lui si era fatto strada prepotentemente fino a diventare ossessivo.
Gli aveva scritto “Alberto, stai bene?” su WhatsApp. E lui le aveva risposto quasi subito “Io sì, tu?” con l’emoticon con la mascherina. Avrebbe voluto vederlo. Come aveva fatto a rimuoverlo dalla sua vita, si chiedeva. Aveva scelto suo marito e sua figlia, che giocavano insieme a scacchi, ignari dei suoi pensieri tumultuosi, intenti a fronteggiare la noia di questi giorni chiusi in casa senza tregua.
Lei era altrove. Improvvisamente con Alberto come lo ricordava due anni fa: seduti su un tappeto per terra mentre sorseggiavano una bottiglia di Riesling, dopo aver fatto l’amore, lei con il reggiseno, che non aveva mai tolto, lui con la camicia completamente aperta. Forse era l’ultimo incontro. Poi lei aveva deciso di non vederlo più. Impossibile lasciare Giorgio e Chiara per Alberto. Lui non ci sarebbe stato quasi mai per lei. Passava mesi fuori a inseguire inchieste complicate per giornali esteri. Anche in Italia, certo. Una volta lo aveva raggiunto a Napoli. Avevano fatto l’amore ferocemente nella sua stanza d’albergo e poi avevano litigato. La miccia era stato il fatto che lui si era messo a chattare al cellulare subito dopo averlo fatto. La verità era che lei sentiva montare la tensione per il loro tempo in scadenza. Aveva il treno alle sette di sera. Aveva strappato una mezza giornata per loro. Lui le aveva chiesto di fermarsi. Ma era impossibile. Aveva riposto quel suo pezzo di vita in un cassetto che non aveva più aperto. Fino a ieri pomeriggio. Dopo qualche minuto gli aveva scritto un altro messaggio. Che voleva vederlo. “Ci facciamo una videochiamata?”, le aveva domandato lui. Allora lei gli aveva annunciato che sarebbe andata da lui, a casa, se era a Roma. Le era venuto istintivo. Lui stava sempre nello stesso appartamento al Pigneto. Aveva pensato che non doveva essere difficile uscire di notte. Di sicuro meno che di giorno.
Vedere Alberto era l’unica cosa che voleva in questo momento. Le suonava come l’ultimo desiderio. La sua vita era serena e monotona. Giorgio la amava, era premuroso e attento, anche lei amava lui. Ma i loro corpi non si desideravano. Anzi, si sfuggivano, come se fossero radioattivi.
La serata era passata, pensava sarebbe stata eterna, invece era volata, tra il telegiornale e la trasmissione di Formigli. Prima la conta dei morti e dei contagiati in Italia e nel mondo, poi le previsioni della durata della pandemia, e a seguire le conseguenze sull’economia. Un rito quotidiano che si ripeteva da giorni. Poi il pigiama e il letto. Alle due era fuori di casa, malgrado il divieto di uscire, lasciando il marito e la figlia al sonno profondo. Era uscita con poco trucco, un velo di fard e tanto mascara sulle ciglia, maglione, pantaloni, chiodo di pelle neri e la mascherina bianca. Davanti al portone aveva trovato il taxi che aveva chiamato con l’applicazione. Il tassista l’aveva squadrata di traverso, ma non aveva detto una parola, aveva solo chiesto conferma della destinazione. Via del Pigneto. Può lasciarmi a via l’Aquila, all’incrocio con via del Pigneto. E così era stato. Da lungotevere Testaccio erano arrivati in pochissimi minuti. Una traversata lunare, tra architetture metafisiche e spazi disabitati e bui. Una volta arrivata non aveva riconosciuto via del Pigneto. Le sembrava enorme. Un vuoto siderale prima di arrivare al portone di Alberto, in via Macerata. All’incrocio c’era un’auto della polizia. Si era fermata all’improvviso, fissando il lampeggiante, con il respiro in gola. Poi, guardando meglio, si era accorta che la macchina era vuota. Bene, poteva andare avanti, degli agenti neanche l’ombra. Aveva proseguito fino al portone. Mentre cercava il nome sul citofono, aveva sentito una presenza alle sue spalle. “Cosa sta facendo?”. Si era voltata e dietro di lei c’era una donna in divisa, con una mascherina bianca e il cappello della polizia. “Dove va?”, aveva incalzato la poliziotta. “Devo vedere una persona, è importante”, le aveva detto.
“Va bene. Chiami la persona e le dica di scendere. Potrà salutarla e poi dovrà tornare a casa sua”.
Alberto era sceso subito. Lo aveva visto mentre faceva gli ultimi gradini delle scale. Gli era parso ingrassato. Aveva meno capelli e la barba lunga. Aveva spinto il tasto per aprire il portone. Gli aveva fatto cenno di no. Lui si era irrigidito, poi aveva visto la poliziotta. Aveva capito. Avevano allungato le mani sul vetro del portone. Gli occhi di lui erano diventati liquidi. Poi avevano preso i cellulari. “Sei sexy con la mascherina”, le aveva scritto, l’aveva fatta ridere, come sempre.
“Addio Alberto”, gli aveva detto a voce.
Poi si era girata ed era andata via.