di Fabrizia Fedele

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La madre aveva i capelli ramati lunghi oltre le spalle, indossava un vestito verde a vita alta e degli stivaletti bianchi. Era bella e sorridente, mentre si provava i vestiti nel camerino del negozio di abbigliamento. Lei la contemplava fiera e ammirata, poi si era guardata le mani e aveva visto che erano mani da vecchia. Rugose e piene di macchie scure, con le vene gonfie e le nocche arrossate. Si era resa conto di essere vecchia e che sua madre era giovane. Era atterrita: avrebbe voluto urlare ma non ci era riuscita.
Si era svegliata. Per fortuna era solo un sogno, anzi un incubo.
Sua madre non si era neanche scomodata a dirglielo direttamente che aveva venduto la libreria, glielo aveva fatto comunicare dal fratello. Un’intermediazione necessaria, data la natura dei loro rapporti, non facili, eppure dissonante, vista l’importanza che aveva la libreria nella vita di sua madre. Cosa l’aveva spinta a escluderla totalmente da questa faccenda, si chiedeva. Il desiderio di evitare discussioni, una volta presa la decisione, il doversi smarcare da una possibile sua richiesta di non vendere, oppure il fatto di considerarla assolutamente ininfluente rispetto alla sua scelta, irrilevante come il battito d’ali di un gabbiano di passaggio.
In effetti questa era la risposta più plausibile. Sua madre non la considerava proprio.
Del resto come poteva. L’intellettuale Prisca Attanasio, poetessa e scrittrice, fondatrice della Libreria Femina, non solo rivendita di libri scritti da donne su temi riguardanti donne, ma anche luogo di ritrovo eletto da intellettuali, scrittrici, lettrici autorevoli e anime belle. Lei che aveva sfanculato suo padre per aver sprecato il suo talento di scrittore per fare il giornalista gastronomico.
Così era sua madre: un monumento di integrità morale, una mente sapiente e giudicante ma anche una sfinge impenetrabile.
Chi era lei, con un nome altisonante e presuntuoso, Frida, ovviamente scelto da sua madre, al fine di propiziare un futuro nelle Arti, che non si era realizzato, e un cognome, Bonatti, quello di suo padre, che evocava la propensione allo sperpero e all’edonismo inconcludente. Una delusione vivente: una studentessa non propriamente brillante, che in età adulta era passata dalle collaborazioni a riviste culturali poco o per nulla pagate alle traduzioni di testi pedagogici dal francese, per approdare alla scrittura di sceneggiature per il cinema che non avevano suscitato nessun interesse, restando nel limbo delle opere da cassetto. Come poteva pensare di venire interpellata dalla madre per le sorti della libreria. Infatti non lo era stata. Non prima e neppure poi. A Gabriele, il fratello modello, il grande studioso di glottologia, il compito di notiziare la sorella minore.
Stavolta però non avrebbe chiuso un occhio. L’avrebbe affrontata a muso duro.
Avrebbe iniziato con una semplice domanda, immediata e diretta. Come mai hai venduto la libreria senza dirmelo? Perché non me ne hai parlato prima? La madre le avrebbe risposto di non cadere dal pero, una sua espressione tipica, che lei detestava, lo sapevi benissimo che stavo cercando un acquirente. Ho voluto evitarti un peso inutile. Tanto ormai era inevitabile. Di sicuro avrebbe detto così. Allora sarebbe partita all’attacco. Non hai pensato neanche per un attimo che avrei potuto essere interessata io alla libreria? Le avrebbe urlato. Tu? Ma figuriamoci, quando mai tu hai dimostrato interesse per qualcosa che non fosse te stessa? Di sicuro avrebbe detto lei. Sai come funziona un negozio? Perché di un negozio si tratta. Certo che lo so. Ma se non hai mai lavorato in vita tua. Sei come tuo padre. Fine del discorso. A quel punto, per esperienza lei sarebbe scattata come una molla passando alle ingiurie.
Doveva sperimentare un altro approccio. Tipo: ieri ho sentito Gabriele, mi ha detto che vi siete sentiti e che tu gli hai detto della libreria… Lasciando in sospeso il discorso. Al che lei avrebbe potuto dirle che ormai era stanca e che voleva godersi un po’ di libertà, scrivere libri. Non poteva più stare dietro al negozio e agli eventi. Allora con calma lei le avrebbe detto che aveva ragione e proprio per questo avrebbe potuto pensare a lei per continuare l’attività della libreria, invece di venderla a un estraneo.
A te, Frida? Le sembrava di sentire il suo nome pronunciato dalla voce squillante di sua madre. Ma ne avevamo già parlato e tu mi avevi detto che non ti interessava.
Improvvisamente si era ricordata di avere avuto un dialogo con sua madre qualche mese fa: lei era in partenza per quel viaggio in Giappone che aveva programmato da tanto. La madre le aveva proposto di lasciarle l’attività e lei le aveva risposto che il negozio avrebbe limitato la sua vita, che lei voleva viaggiare e non intendeva rinunciarci per stare in libreria. Aveva detto proprio così? Si domandava. Forse. Ma era quasi un anno fa. D’accordo, forse l’ho detto, ma è passato un secolo!
Perché tu mamma non me ne hai più parlato?
Che senso aveva riproporti la stessa cosa a distanza di qualche mese? Per litigare di nuovo?
Le cose cambiano mamma! Le persone anche, e soprattutto, cambiano idea!
Mentre era nella sua stanza da letto, accanto all’armadio, aveva sentito la sua voce gridare. Non stava più pensando a cosa avrebbe detto alla madre e a cosa lei le avrebbe risposto, stava proprio parlando con la madre. In assenza della madre. Malgrado la sua presenza.
Si era vestita in fretta, quasi senza accorgersene, le prime cose che le erano capitate davanti. Cosa significava per lei il confronto con la madre, si chiedeva. Le importava veramente della libreria o le interessava piuttosto farsi sentire? Una resa dei conti rimandata da troppo tempo.
Alla porta d’ingresso sua madre le era sembrata più solare del solito. Le aveva sorriso e mentre andavano a sedersi in salotto si era lamentata per un dolore che aveva al ginocchio. Ti preparo il caffè, le aveva detto senza aspettarsi una risposta ed era sparita in cucina. Lei per un attimo si era sentita smarrita, come quando da bambina aspettava che la madre tornasse a casa. Ma non tornava mai. Quando pensava che stava per arrivare si metteva proprio dietro la poltrona su cui era seduta adesso, così appena entrava in salotto, lei usciva all’improvviso da dietro e le saltava al collo per abbracciarla. A volte stava lì dietro per ore, almeno così le sembrava. A volte la madre pareva persino scocciata della sorpresa improvvisa.
Andava di corsa, le diceva, doveva uscire di nuovo, non poteva fermarsi, c’era la sua collega che l’aspettava al portone.
Eccola adesso con il caffè fumante. Non sapeva come fare per iniziare l’argomento.
“Sono contenta che sei venuta”, aveva detto la madre, “volevo parlarti della libreria”,
“Sì, anch’io vorrei parlartene”, le aveva risposto la figlia quasi meccanicamente.
“Ho pensato di dare a te i soldi ricavati dalla vendita, così puoi investirli per il tuo futuro: non sei più una bambina”.
Frida era rimasta senza parole. Non era riuscita neanche a iniziare il discorso.
Sua madre l’aveva presa in contropiede, spiazzandola completamente.
Nessuna resa dei conti.
Non c’era più niente da dire.
Non sapeva neppure se doveva dirle grazie.
Si era sentita una bambina.
Ancora una volta una bambina lasciata sola.
Da sua madre.