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photo by Rani George

di Maria Laura Centi

Chiuse piano la porta dietro di sé. Scese lentamente le scale, con cautela, quattro piani, uno dopo l’altro, quasi trattenendo il respiro; lo sguardo scrutava teso le porte che oltrepassava, con il timore che potessero aprirsi all’improvviso ed un volto ignoto potesse sorprenderla.
Nessuno. Non c’era nessuno.
Raggiunse il portone, premette il pulsante, lo schiocco la fece sussultare.
Fuori il sole abbagliante la colpì con violenza, si portò una mano agli occhi e li socchiuse, poi subito girò lo sguardo intorno sulla piazza deserta. Erano le tre del pomeriggio, non circolava nessuno. Solo un cane dall’aspetto malmesso stava pigramente accucciato vicino ai bidoni della spazzatura, gli occhi cisposi quasi chiusi e nemmeno alzò la testa a guardare.
Cominciò a camminare velocemente, resa ansiosa dal rumore dei suoi tacchi sull’asfalto; dopo alcuni minuti rallentò il passo, ansimando: era impossibile camminare in fretta con quelle scarpe alte e con la gonna aderente che non le permetteva di allungare la gamba se non di qualche misero centimetro. Perché diavolo si era vestita così anche questa volta? Si domandò con rabbia.
Si fermò un momento e respirò profondamente, poi girò di nuovo lo sguardo sulla piazza deserta e chiuse gli occhi sollevando il viso in direzione del sole: com’erano piacevoli e confortanti quel calore intenso e quella luce abbagliante, avvolgente! Calore e luce formavano un tutt’uno che la avviluppava in una sensazione intensa di energia e benessere.
Sorrise al sole, aprì gli occhi e si sentì felice, sollevata, leggera. Riprese a camminare senza più fretta.
“Ce l’ho fatta”, pensò ancora incredula, “me ne sono andata”. Aveva strappato tutte le lettere che gli aveva scritto per anni in ore di notti insonni, chiusa nel bagno a fumare, scrivere e piangere, intenta a chiedere perdono senza conoscere le sue colpe, a domandare spiegazione dei suoi silenzi, delle sue accuse infondate, delle frasi crudeli pronunciate a labbra strette con quello sguardo feroce, cattivo e sardonico.
Uno sguardo malato- pensa ora- lo sguardo di chi vuole umiliarti, confonderti, annientarti.
Ci era riuscito benissimo, giorno dopo giorno, a farne la sua vittima, manipolata come una marionetta, violentata nella sua identità, resa dipendente e paralizzata dal terrore di perderlo. Per anni non era riuscita a concepire un’esistenza senza di lui, si era piegata a tutto, sempre pronta ad assecondarlo, felice di compiacerlo, ansiosa fino allo spasimo di ricevere amore, ammirazione, baci, sesso travolgente.
Le lettere di suppliche e lacrime che gli lasciava all’alba in cucina nella speranza che le leggesse non avevano mai ricevuto risposta, le venivano restituite ogni volta con sguardo sprezzante.
“Quanti anni ci ho messo”, pensò con rammarico, “a capire che il nostro era un rapporto malato, che lui confonde l’amore con il dominio ed il possesso.”
“Ce l’ho fatta”, si ripeté, “me ne vado dal sogno diventato incubo, dal paradiso e dall’inferno, dal paradiso diventato inferno”.