di Silvia Zuffrano

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Photo by Thiago Cerqueira

Il bambino le saltò sopra facendola trasalire. Aprì gli occhi un solo istante, per un riflesso incondizionato, ridendo sorpresa, per richiuderli subito dopo inebriata dal profumo della pelle fresca e pulita di suo figlio. Aveva poco più di sei anni ma lo sentiva già troppo grande sul suo corpo di donna minuta. Era stesa sul letto di traverso, con i piedi penzoloni. Le piaceva stare in quella posizione quando provava a rilassarsi con una musica lenta e dolce in sottofondo. Con il braccio sinistro cinse a sé le delicate spalle di Lorenzo e con il mento sistemò la testolina bionda tra l’incavo del collo e la clavicola sporgente. Lo stringeva forte pur temendo di fargli male, tuttavia avvertì che i loro corpi si adattavano perfettamente, come confermavano i risolini squillanti del bambino. Il battito rapido di quel cuoricino proprio sopra al suo, la fece sentire come se fossero stati sempre uniti, un tutt’uno, stesso battito, stesso respiro. Un senso di gratitudine per quel figlio che aveva scelto lei come mamma le salì in volto rasserenandola molto di più di una pratica di meditazione. Di certo è questa l’emozione che prova una mamma quando respira all’unisono con il figlio che le cresce in grembo. Laura, che non era riuscita a generare una vita, poteva solo immaginare. Ogni volta che aspettava i risultati dei test, vedeva il suo corpo trasformarsi davanti allo specchio, fantasticava sul colore degli occhi, fingeva di sentirlo muovere, di sentire il fastidio che le avrebbe procurato il piedino che spingeva sulla sua pelle sottile e tesa, e inventava le parole che avrebbe potuto dire per farlo calmare. Ogni volta che scopriva di non essere rimasta incinta, sconfortata, presagendo il suo ventre vuoto, domandava a sé stessa se mai avrebbe potuto conoscere il significato primordiale della parola madre.
Stringeva le piccole mani morbide nella sua mano destra, come a trattenere quello stato di benessere assoluto per farlo durare più a lungo. Un sentire che cancellava tutte le sue paure e i pensieri ansiogeni senza il bisogno di meditare. Senz’altro è questo che prova una madre, si diceva, o in ogni caso doveva essere un sentimento equivalente a quello che può provare una madre per un figlio. Lo ha desiderato, cercato, ma al terzo tentativo di fecondazione assistita Laura si è arresa. Ogni insuccesso un fallimento. Delusioni troppo pesanti da sopportare e velenose da digerire per Laura. Si rese conto che la vera sterilità sarebbe stata l’ostinazione di non accettare quello che la natura aveva scelto per lei.
L’adozione di Lorenzo non era ancora definitiva, ma Laura non aveva dubbi che il legame tra lei e quel bambino nacque l’attimo esatto in cui si guardarono negli occhi per la prima volta. Si riconobbero. Se ne ricorda le volte che Lorenzo piange con disperazione per qualche suo motivo antico. Si ricorda che quando si incontrarono, si strinsero subito in un abbraccio avvolgente proprio come fanno mamma e figlio.