di Chiara Nobilia

Più diritti civili
per noi incivili,
a patto che il colore della pelle
sia quello giusto,
confacente all’iconografia
ancora oggi officiante,
che celebra “limpieza de sangre”.
Per questo il mio stomaco
non dovrebbe rivoltarsi
poi così tanto,
la domenica mattina,
in macchina con Andrea sulla Maremmana:
grazie al mio incarnato pallido,
infatti, mi spettano
una comoda collocazione
sul sedile passeggero
e qualche minuto a perdere,
che consumo sintonizzando
le stazioni sprigionate dall’fm,
mentre, fuori dal finestrino,
ecco
una,
due,
tre
donne in vendita.
Ragazzine, in realtà,
ma con occhi così asciutti…
e il colore della pelle, quello sbagliato.
Per me, fototipo II,
è previsto un pacchetto esistenziale
con margini di possibile
e un tasso variabile di discrezionalità –
intanto, conto
quattro,
cinque,
ragazze fototipo VI,
seminude, esposte alle intemperie
e alla nostra disumanità.
In virtù della mia
– mia… –
latitudine di nascita
sono autorizzata a sentirmi in pace
mentre altre donne –
che, come me, se abbracciate,
secernono ossitocina –
pagano malamente
la loro
– loro… –
latitudine di nascita.
Sei,
sette,
otto:
otto persone
ridotte in schiavitù,
fuori dal mio finestrino,
sul ciglio della strada come erbacce,
la domenica mattina.
A quasi un secolo di distanza
deteniamo ancora,
innegabilmente,
la categoria
delle “nostre donne”.
Sul sedile passeggero,
mi domando
cosa siamo.
La poesia è tratta dal libro “Svolgermi ramificata” Ed. Ensemble, collana HerKind diretta da Alessandra Bava