di Fabrizia Fedele

Alma avrebbe voluto uscire fuori a cena. Mettersi il vestito nuovo che aveva comprato in un impeto di non realistica euforia da shopping. Ancora non si rassegnava al fatto che non si poteva più uscire la sera. C’era una parte di lei che faceva resistenza. Così ora si ritrovava un vestito nuovo che non avrebbe potuto mettere, ma solo rimirare nell’armadio. Un vestito corto di seta rosso a fiori rosa. La ragazza al negozio le aveva detto che faceva bene a prenderlo, anche lei l’aveva fatto, presto avrebbero ripreso a fare la vita di prima.
Presto? Ma quando si chiedeva Alma. Impossibile fare previsioni. Intanto era chiusa in casa, tranne qualche eccezione come per le incursioni da shopping, l’economia non può precipitare, ciascuno di noi deve fare la sua parte, siamo pur sempre dei consumatori. Frasi che le riecheggiavano in testa, risonanze mediatiche che l’avevano chiamata in causa. E la sua parte la stava facendo. Rispettava il semi-lockdown, lavorava da casa, che per una freelance che scrive di viaggi è una bella beffa, non vedeva più nessuno, tranne suo marito, sua madre, cui andava a fare visita a giorni alterni, la parrucchiera una volta a settimana, l’estetista una ogni tre settimane, la tipa del negozio a cadenze irregolari e poi naturalmente i commessi del supermercato. E questo era tutto. Davvero poco in definitiva.
Allora aveva pensato di uscire a pranzo, dato che a cena non si poteva.
Giacomo a differenza sua era in ufficio, non poteva unirsi a lei per il pranzo e lei non aveva voglia di aspettare il fine settimana per andare insieme. Sarebbe andata da sola.
Aveva cercato il sito del Luce, un ristorante di cui si sentiva parlare molto bene e si era messa a guardare le foto dei piatti. Poi era passata al menu. Tra i primi piatti, l’avevano colpita i plin di caccia con zabaione alla birra, topinambur e tartufo bianco. Tra i secondi l’anguilla con verdure al bitter e riso acido. E poi il manzo al pepe verde con cachi fermentato e olio al caffè.
Sotto c’era scritto di non esitare a scrivere al ristorante per qualunque richiesta o curiosità.
Buongiorno, aveva scritto, come sono fatti i plin di caccia? Cosa c’è nel ripieno? E cos’è il cachi fermentato? Vorrei venire a pranzo da voi uno di questi giorni, è possibile?
Non sapeva più niente. Così aveva chiesto tutto quello che le era venuto in mente.
Dal Luce avevano risposto subito. Certo, di lavoro dovevano averne poco, si era detta.
Gentile Alma, facendo seguito alla sua richiesta: i plin di caccia sono dei piccoli ravioli ripieni di carne di pernice, mentre il cachi fermentato come dice la parola stessa è il frutto che viene sottoposto a un processo di fermentazione che lo rende una perfetta salsa di accompagnamento alla carne. Di più non possiamo dirle per non rivelarle i segreti del mestiere. Può venire a pranzo quando vuole, nel rispetto degli orari previsti dal Dpcm naturalmente. Può riservare scrivendoci il giorno che preferisce. Cordiali saluti, la direzione del ristorante Luce.
Professionali e distaccati ma gentili. Avrebbe potuto prenotare anche per il giorno dopo, le sarebbe piaciuto, solo si chiedeva se avrebbe trovato posto dalla parrucchiera, voleva avere i capelli splendenti per il suo pranzo. Prima di prenotare però aveva cercato la pagina Facebook del ristorante. Si era ritrovata davanti la foto dei plin di caccia e dopo aver messo il like aveva commentato, non vedo l’ora di venirli a provare. Dopo pochissimo, un like e una risposta: i plin non vedono l’ora che tu li mangi! Audace, aveva pensato, e subito aveva controllato l’identità del tipo, scoprendo che era lo chef del ristorante in persona a risponderle, Marcello Luce.
Difficile trovare una risposta adeguata. Aveva preso tempo.
Lui aveva incalzato. Anche gli spaghettoni con alici e tartufo non vedono l’ora di essere mangiati.
Alici e tartufo, un abbinamento davvero strano, stava pensando ed era comparso un messaggio nuovo su Messenger. Era sempre lui, lo chef, che le suggeriva persino il calice di vino giusto, un bicchiere di Riesling, molto indicato con alici e tartufo bianco. Lei aveva risposto con la faccina sorridente e poi aveva chiuso il pc. Non era strano che lo chef di un ristorante le scrivesse in privato? Si chiedeva. Forse è una nuova strategia di marketing, visti i tempi. Si era risposta.
E se invece fosse una mossa da acchiappo? Ma che ti vuoi acchiappare, che non possiamo neanche avvicinarci a meno di un metro? Eppure… Però non poteva esserne certa. Chissà!
Ma lei, nel caso, che avrebbe fatto? Di sicuro andare a pranzo in un ristorante non poteva essere compromettente. No di certo. Dunque sarebbe andata. Non era neanche sicura che lo avrebbe detto a Giacomo. Si vedrà.
Era andata sul sito del ristorante, dove un’applicazione gestiva le prenotazioni. Non c’era posto né l’indomani, né il giorno successivo e nemmeno quello dopo ancora. Aveva dovuto rimandare al lunedì successivo, il primo giorno disponibile, cosa che peraltro escludeva la possibilità di una seduta dalla parrucchiera, ma pazienza, non si può avere tutto.
Poi le era venuta la tentazione di scrivere allo chef e così aveva fatto. Ci vediamo lunedì prossimo.
La risposta di lui era arrivata dopo mezzanotte. Diceva che l’aspettava. E che aveva deciso di farle provare qualche nuovo piatto. Le chiedeva se era allergica a qualche cibo.
Alma si era sentita lusingata, gli aveva risposto che non aveva allergie e che era pronta a provare le sue nuove creazioni.
Alle due di notte lui le aveva risposto che stava sperimentando un risotto con il piccione e una ricetta con la lepre. Avrebbe avuto ancora qualche giorno per metterle a punto.
La notte per Alma era stata quasi totalmente insonne per l’eccitazione, più volte aveva controllato l’iPhone per vedere se c’erano altri messaggi di Marcello Luce, poi aveva fatto un sogno in cui andava in giro, incontrava persone conosciute e sconosciute che non portavano le mascherine, tutti erano felici, si abbracciavano e si baciavano. Un sogno.
La mattina a colazione le era persino sembrato strano parlare con Giacomo, la sua voce le risuonava come un’interferenza. Le diceva che il numero dei contagi era in crescita e che probabilmente avrebbero richiuso tutto. Speriamo di no, aveva quasi urlato, e si era chiesta se dirgli del ristorante. Meglio di no. Lui di sicuro l’avrebbe dissuasa con la scusa del Covid.
Il pensiero del pranzo al ristorante si era impossessato di lei, era diventato dominante. Malgrado dovesse consegnare un servizio su luoghi per ritiri spirituali, meditazione e yoga per un mensile di viaggi a cui collaborava, non riusciva a staccare gli occhi dalle notifiche del telefono. Un solo messaggio di lui durante la giornata: la foto di una cucina con scritto sono al lavoro! Avrebbe voluto essere lì da lui, anche se sapeva a malapena che faccia avesse.
Al supermercato aveva preso una quantità eccessiva di dolci: gelato, cioccolata, biscotti, se ne era resa conto solo una volta a casa. E non aveva comprato la frutta.
Appena si erano seduti a tavola per la cena, la notizia aveva invaso la stanza.
Da sabato sarebbero stati di nuovo in zona arancione. I ristoranti chiusi, aperti solo per asporto o delivery. Il numero dei contagiati era sempre più alto. Anche l’indice di contagio era cresciuto.
Insomma niente pranzo al Luce. L’evidenza l’aveva colpita in piena faccia.
Possibile? Proprio adesso che lei aveva programmato un pranzo al ristorante. Sembrava fatto apposta. Ma da chi? Qualcuno che ce l’aveva con lei, ovvio.
Giacomo dava l’idea di esserne compiaciuto, anzi, ne era contento, gongolava.
Perché sei contento? Gli aveva urlato Alma. Ma che dici, Alma, sei impazzita?
Io volevo solo andare al ristorante, per una volta, e loro me lo vietano, maledetti!
Calmati Alma, è un divieto momentaneo, vedrai che presto torneremo a uscire e anche ad andare al ristorante, stanne certa.
Presto. Dite tutti così! Ma presto quando? Siamo rinchiusi in casa da un anno, cazzo!
E aveva buttato per terra il piatto che neanche si era rotto, il parquet aveva attutito il colpo.
La fettina panata e l’insalata si erano sparpagliate per terra.
La serata per Alma era finita con diverse gocce di Lexotan per dormire.

Il ristorante era chiuso ovviamente. Nessun segno esteriore rivelava che dentro ci fosse qualcuno.
Alma si era ritrovata lì davanti con il cuore in gola.
Sono alla porta, aveva scritto. Arrivo, aveva risposto Marcello.
Dall’altro lato della porta a vetri era apparsa un’ombra. La porta si era aperta, un sorriso largo l’aveva accolta. L’interno era buio, le luci erano spente, le tende tirate. Dopo aver richiuso la porta, Marcello l’aveva guidata dentro. In silenzio, avevano attraversato la sala a passi felpati, lei in punta di piedi, attutendo l’impatto delle suole degli stivali con il gres porcellanato del pavimento. Il calore proveniente dalla cucina l’aveva travolta. Lui le aveva fatto cenno di togliersi la mascherina. L’aroma avvolgente di lievito l’aveva immediatamente rilassata. Siediti qui, le aveva detto, indicando un tavolo tondo apparecchiato di fronte alla cucina a vista. Erano separati dalla vetrata, ma potevano guardarsi. Pensa solo a stare bene, le aveva detto Marcello sorridendo, lui aveva ancora la mascherina, si vedevano solo i suoi occhi scuri, ti servirò un menu degustazione studiato solo per te. Alma non sapeva cosa sarebbe successo, ma si sentiva bene, incredibilmente bene. Non sapeva neanche cosa stava facendo lì e perché c’era andata. Si era portata alla bocca il calice di vino che lui le aveva versato, un Pinot noir di cui stava cercando di leggere il nome del produttore.
Aveva espirato lentamente, le lacrime le erano scese dagli occhi.