di Maria Francesca C.

Dopo una lunga e infruttuosa serie di colloqui, tutti finiti in un nulla di fatto, una mattina finalmente ho ricevuto una telefonata dalla segretaria di un’azienda a cui avevo inviato il mio curriculum e nonostante le avessi scandito la mia età, per ben due volte, lei mi assicurò che non c’erano problemi e che mi aveva già fissato un appuntamento di lavoro, ribadendomi anzi che cercavano proprio “persone over 40”. Rimasi subito perplessa, chiedendomi se c’era qualche trucco, ma pensai che non potevo assolutamente farmi sfuggire quest’occasione. Il giorno dopo mi precipitai al colloquio, in realtà un semplice questionario anagrafico, e poi fui pronta per i tre giorni di selezione.
Arrivai in sede il giorno e l’ora prestabiliti, le tre di pomeriggio, la segretaria alla reception, giovane e molto attraente, con una super minigonna, mi indicò una stanza dove mi accomodai insieme a un gruppo nutrito di sfigati over 40. La maggioranza uomini, che sembravano appena usciti da qualche girone dell’inferno dantesco. Quasi tutti in sovrappeso, calvi, sciatti e insignificanti, sfiduciati e con nessuna voglia di mettersi in gioco. La selezione avvenne naturalmente, una vera selezione darwiniana. Un tipo ripeteva in continuazione che aveva fatto richiesta scritta per essere assunto come magazziniere, mentre un altro “voleva il posto fisso” e un altro ancora voleva fare il dirigente, quindi si erano tutti autoesclusi. Alla fine rimanemmo solo in due donne.
Dopo i tre giorni di selezione, fui affiancata da un tutor: Giampiero, un brillante ragazzo con la laurea in chimica che aveva scoperto il modo di guadagnare un bel po’ di euro facendo il venditore di depuratori d’acqua. Prima mi portò a pranzo e poi in giro per le case dei miei conoscenti per insegnarmi a vendere. Perché in questo consisteva il lavoro: vendere depuratori d’acqua.
“Ma quanti anni hai?”. Ci risiamo, pensai, “Cinquantatré”.
Giampiero era un bel ragazzo, un bel fisico asciutto, profondi occhi neri, mi lanciava sguardi languidi e io mi sentivo lusingata, subito dopo mi pentii di non essere riuscita a nascondere la mia età. “Complimenti non li dimostri per niente, hai una bella pelle luminosa!”. Mi bloccai: non osai parlare di rughe. In effetti ne ho poche rispetto alle donne della mia età, è un dono di madre natura: tutti a casa, anche mia madre, le mie zie, le mie sorelle hanno avuto la fortuna di non dimostrare l’età reale, pensai. “Ma grazie Giampiero!” gli risposi, lì per lì, orgogliosa.
Averlo conosciuto mi faceva sentire bene, piena di energia. Così cominciai a curarmi di più, cercai nel mio guardaroba i jeans aderenti che mi calzavano a pennello, li indossai con i tacchi che mi slanciavano e correvo felice al lavoro. Giampiero era sempre disponibile, gentile, mi incoraggiava, mi faceva i complimenti per il “look giovanile”. Mi portava spesso a pranzo in un bellissimo posto e mi invitava a ordinare quello che volevo senza badare a spese: “Tanto è tutto pagato! Sono contento che fai parte del mio team, difficilmente mi sbaglio nella scelta delle persone!”, mi disse un giorno. Durante i pranzi di lavoro, mi parlava spesso della sua famiglia, dei suoi progetti futuri e della sua aspirazione ad aprire un ufficio vendite tutto suo. “Tu sarai la prima ad essere assunta”, ripeteva spesso e io mi sentivo al settimo cielo. Non potevo credere che stava accadendo davvero: non solo avevo trovato lavoro, ma anche un datore di lavoro giovane, carino e gentile. Passato qualche giorno, mi resi conto di non aver guadagnato nemmeno un centesimo, anzi di averci rimesso il pieno di benzina per andare tutte le mattine in sede con la mia antiquata utilitaria. Iniziai a preoccuparmi, anche perché tra qualche giorno, l’affiancamento con il “mio” affascinante team leader sarebbe dovuto terminare, poiché la formazione era quasi conclusa e io dovevo cominciare a vendere i purificatori da sola.
La formazione con Giampiero fu tutta rose e fiori, avevo condiviso con lui gli indirizzi dei miei conoscenti, i miei parenti si defilarono, gentilmente uno ad uno dalle mie visite adducendo scuse improbabili, le uniche che accettarono furono due mie amiche: Lucia e Renata.
Riuscii ad intrufolarmi un pomeriggio, insieme a Giampiero, a casa di Lucia, bellissima casa, lavoro fisso, sposata. Lui sfoderò tutto il suo fascino, eppure, nonostante ciò, non riuscii a chiudere il contratto e lei fu irremovibile: doveva consultare assolutamente suo marito e suo figlio, perché la spesa era considerevole. Quando uscimmo dopo ore di trattativa, lui mi rassicurò, con il suo seducente sorriso, che quella era una vendita “sicura” e che presto avrei avuto la mia parte di guadagno. Lucia, purtroppo, mi mandò un messaggio, poco dopo: non aveva nessuna intenzione di spendere quella cifra, per l’acquisto di un aggeggio di cui non aveva bisogno. Il fascino del bel Giampiero era svanito appena uscito di scena. Gli inviai una faccetta con le lacrimucce e tutto finì lì. L’altro appuntamento fu breve, la mia amica Renata che viveva da sola, aveva uno stipendio appena sufficiente a far fronte alle sue spese e a quelle dei suoi gatti, almeno non ci fece perdere tempo, infatti non ci dette il tempo di sfoderare nemmeno una delle agognate 12 fasi per la vendita. Proprio con me Giampiero aveva utilizzato una di quelle fasi di vendita: quella dei complimenti e della complicità che venivano messe in atto per coinvolgere i principianti.
Un pomeriggio, per mettermi alla prova, Giampiero mi inviò su WhatsApp un indirizzo e mi chiese di incominciare a osare da sola. Fui colta da un moto di amor proprio, pensai che sicuramente mi ero comportata bene ed ero stata brava per meritarmi la sua fiducia e senza pensarci due volte mi precipitai fuori di casa, nel primo pomeriggio, con l’indirizzo registrato su Google Maps. Fu così che mi persi nella desolata periferia della mia grande città e dopo un po’ di tempo passato a litigare con il mio cellulare, riuscii a trovare il posto: mi ritrovai a salire delle scale maleodoranti in un palazzo grigio e scrostato. Arrivai trafelata al sesto piano senza ascensore. Venne ad aprire la porta una signora anziana, dimessa, aveva un accento dialettale e quando mi presentai mi fece entrare in casa, scambiandomi sicuramente per un’altra persona. La casa era piccola, con i muri sudici e scrostati e la poveretta, mi raccontò di essere vedova e che non vedeva i figli da tanto tempo. Incominciò a lamentarsi, perché non aveva abbastanza denaro e invocò gli aiuti dei servizi sociali. Gli donai i pochi spiccioli che avevo nel portafoglio senza neppure accennare al motivo della mia visita, la salutai, mentre lei mi benediva e nominava i suoi santi protettori.
Sfiduciata e scoraggiata, la sera, appena tornai a casa chiamai piangendo Giampiero, fu allora che mi propose di acquistare il depuratore, almeno per fine settimana potevamo portare un risultato in azienda. Mi spiegò che era un buon acquisto e che lui lo aveva già preso per i suoi genitori. Mi lasciai convincere e mi accollai le 24 rate. Mi ero sistemata per due anni.
Dopo qualche giorno, precisamente dopo due briefing e tre meeting, con esultanti salite sul palco e relativi applausi, firmai il contratto con il quale si decretava che ero diventata una venditrice a domicilio a tutti gli effetti.