di Paola Tesorieri

Proprio questa mattina stavo cercando un vecchio vinile di mio padre nel mobile della tavernetta e, spostando una pila di musicassette, è apparso un peluche dalle sembianze di un barboncino. Sono scoppiata a ridere ed ho esclamato: “ma guarda chi si nasconde qui”. In realtà non è proprio un peluche, ma un cilindro di plastica con tappo rovesciato, ricoperto da fibra sintetica arricciata, dalle svariate sfumature di azzurro e blu. L’ho preso in mano e, nonostante gli anni, è intatto. Orecchie, naso, occhi e bocca ancora perfettamente incollati, solo un po’ impolverato. Toccarlo ha fatto riaffiorare tanti ricordi che ho cercato di riordinare mentre distendevo delicatamente, con le dita, i suoi folti ricci. Era un regalo di Davide, un compagno delle medie, per il mio dodicesimo compleanno. Chissà che fine avrà fatto questo Davide. Ormai non penso a lui da più di trent’anni. Mi ritorna l’immagine della classe di allora e lui era seduto nella fila centrale, due banchi dietro di me. Moro, occhi chiari, spalle dritte, robusto, con mani bellissime ed uno sguardo vivace. Studioso, con volti sempre alti, eccelleva nelle materie umanistiche, adorato e lodato da tutti i professori. Non era come noi, era differente, una mente geniale in un corpo adolescente. Non riuscivo a relazionarmi con lui, ne percepivo la grandezza che mi inebetiva tanto quanto mi intrigava. Mi limitavo a guardarlo, quasi a spiarlo per carpire il suo misterioso segreto, o potere, che rendeva il riuscire nello studio così facile, quasi naturale. Per me gli anni delle medie sono stati una tortura. Ragazzina complessata e in perenne guerra con le figure genitoriali, la scuola e lo studiare mi annoiavano. Attuavo inconsciamente una sorta di puntuale ribellione, impegnandomi solo a deludere le soffocanti e troppe aspettative. In più ero cicciotta e mi vedevo tanto bruttina, quindi come avrei potuto interessare quel giovane uomo che mi faceva provare i primi stati di eccitazione amorosa verso l’altro sesso. Tutto questo si tramutava in una logorante e crescente invidia verso di lui. Ma l’invidia nasconde un meraviglioso segreto, che si svela con l’età e l’esperienza. Si invidia ciò che si vorrebbe essere, pensando di non poterlo mai diventare. Invece invidiamo proprio quello che potremmo diventare, se solamente ci impegnassimo.
Riaffiorano altri ricordi, come quello della calda mattinata di giugno prima dell’orale per la licenza media. Ero seduta sulla scalinata antistante il portone di ingresso, con l’antologia sulle gambe. Davide aveva l’orale lo stesso giorno. E’ arrivato e mi ha salutato con un sorriso che gli ha illuminato il viso. Si è seduto accanto a me e abbiamo iniziato a ipotizzare domande, sfogliando a turno le pagine di quella odiata antologia. L’agitazione per l’esame era svanito e aveva lasciato posto ad una sensazione nuova, di protezione e sicurezza. La stessa sensazione che si impara a riconoscere e a ricercare nell’uomo al quale ci si lega sentimentalmente. Indimenticabile la festa di compleanno di Davide a casa sua. Mi rivedo appoggiata allo stipite della porta della cucina, mentre bevevo una aranciata. Ho sentito una porta aprirsi e ho visto suo padre uscire dalla sala. Ha lasciato la porta socchiusa quel tanto che bastava per farmi intravedere un’ enorme libreria a parete, stipata di libri. Non avevo mai visto tanti libri insieme in vita mia. Lentamente mi sono avvicinata alla sala e ho spalancato la porta per vederla meglio. Dopo pochi istanti Davide mi ha sorpresa alle spalle e mi ha spinta nella sala. Senza dire nulla, ma divertito, mi guardava con espressione burlona, mentre io ero in adorazione di quella libresca visione. Stupidamente credevo di avere, finalmente chiaro, il segreto del suo potere: lui possedeva più libri di me!
Tra tutti questi ricordi, il più importante è quello legato a una premiazione di un sabato pomeriggio di inizio primavera. Non riuscendo molto bene a scuola, i miei genitori favorivano varie attività per cercare di stimolarmi, come lo studio del pianoforte, la pittura, l’amore per gli animali e anche la fotografia. Proprio un mese prima del mio dodicesimo compleanno avevo partecipato a un concorso cittadino di fotografia, vincendo il terzo premio per il miglior soggetto. Per l’occasione avevo indossato un completino, gonna e giacchetta, a tinte pastello. Mia madre mi aveva anche portata dalla parrucchiera che mi fece riccia. Fino ad allora non avrei mai pensato che i capelli lisci potessero diventare ricci. Mi pareva quasi una magia. Continuavo a toccarli e a guardarmi allo specchio. Ero come avvolta in una nuvola di bambagia e, quando muovevo la testa, quei ricci ondeggiavano planando morbidamente sulle mie gote. Mi sentivo bellissima quel giorno. Alla fine della cerimonia, mi sono avviata, con mia zia, verso l’uscita e, in fondo alla sala, ho visto Davide e suo padre che ci guardavano. Ci siamo avvicinate e, mentre mia zia scambiava i soliti convenevoli con il padre di Davide, lui non mi diceva nulla, si limitava a guardarmi, fisso, intensamente, con un’ espressione tra lo stupore e l’incanto. E’ stata la prima volta che un ragazzo mi ha regalato sguardi così intensi di interesse. Ecco perché Davide aveva scelto quel peluche riccio come regalo per il mio compleanno, ed ecco il perché l’ho conservato negli anni. Dopo le medie abbiamo preso due indirizzi di scuola superiore differenti e non ci siamo mai più rivisti né incrociati. Ancora mi domando che fine abbia fatto e decido di tentare una ricerca sul web, sperando in un profilo social. Alcuni omonimi, ma dalle fotografie dei profili nessuno mi pare lui. Provo con una ricerca fotografica, sperando che gli anni passati non abbiano del tutto trasfigurato i tratti del ragazzo che ricordo. Eccolo! E’ una piccola foto in bianco e nero a mezzo busto. Sotto c’è un link che indirizza ad una casa editrice specializzata in pubblicazioni universitarie. Apro la sua scheda e leggo che è professore di linguistica all’università, in una città vicina, ed ha innumerevoli pubblicazioni. Non ne sono sorpresa, in fondo, non poteva essere altrimenti. Cerco altre foto e ne trovo solo alcune che lo ritraggono o a un tavolo di relatori, in qualche convegno nazionale e internazionale, o in mezzo a suoi studenti in occasione di consegne di premi. Ingrandisco le foto e cerco di lui nei dettagli. I suoi occhi sono cambiati: a tredici anni gli occhi sono spalancati sulla vita, dopo i quaranta sono pieni di vita! Ha una espressione stanca, ma così intensa. Chissà in questi anni che eventi hanno modellato quel suo sguardo. Altri tratti sono immutati: il naso sempre aquilino, il labbro inferiore carnoso e ha ancora folti capelli castani leggermente ondulati. Passo alla ricerca di qualche video. Sono fortunata, ne trovo tre. Faccio partire il primo, mettendolo a pieno schermo. Solo dopo pochi minuti mi commuovo per averlo ritrovato, anche se solo in video, e lascio che le lacrime inumidiscano il mio sorriso compiaciuto. La sua voce è uguale, solo il timbro si è fatto più cupo. Fisicamente è un uomo di mezza età, appesantito. Gesticola come sempre e ha mantenuto quel tormentarsi, con l’indice, le pellicine del pollice. Nei primi piani rivedo anche quella venuzza sopra lo zigomo di sinistra. E’ sempre stata leggermente gonfia e verdognola. Mi dovevo trattenere, avevo sempre voglia di toccarla. Interrompo il video e mi abbandono sullo schienale della sedia guardando fuori dalla finestra. Mi ritornano alla mente le parole di Octavio Paz: “la memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare”.