di Anna Maria Brigida

Roma, si sa, è piena di buche, che quando sprofondano in mezzo a una strada, aprono cantieri di lunga durata. Nel mio quartiere, l’Appio Latino, si cominciò un anno fa con la prima deviazione dell’autobus 87. Impedito di svoltare a via Luigi Cibrario, lo si è fatto proseguire per via Raffaele De Cesare, seguendo per un tratto lo stesso percorso del 628 e del 665. La via, appesantita da un ulteriore autobus, sulla congiunzione con via Latina, ha ceduto, crollando in una buca di piccole dimensioni e per questo risistemata in breve tempo, durante il quale i tre mezzi sono stati deviati in un altro percorso e, naturalmente, insieme a loro le altre macchine. Quando mi trovavo a passare di là, all’arrivo degli automobilisti ignari della chiusura, mi affrettavo a pregare perché non bestemmiassero. E devo dire che quasi tutti sono stati pazienti.
Dopo poco, sotto casa mia, attraversata dalla fatidica via Raffaele De Cesare, il Comune di Roma ha pensato bene di rifare il manto stradale prima del verificarsi di un quasi certo affossamento. Il cantiere, composto da tre energici operai, ha lavorato alacremente, dirigendo il traffico con un semaforo alimentato da corrente propria. Anche in questa occasione, è stato bello per me osservare la pazienza degli automobilisti nell’attesa del verde, proprio in quell’incrocio sempre teatro di furbizie, sorpassi pericolosi, improperi e parolacce di ogni genere.
Terminato il lavoro, ha cominciato a fuoriuscire l’acqua della fogna. Il cantiere ha dovuto scavare in profondità. Ho visto scorrere questo fiume puzzolente a molti metri dalla superficie. Da allora, gli operai cominciano i lavori da prima delle 7 di mattina fino alle 16-17, con una breve pausa di poco più di mezz’ora tra le 12 e le 13. I macchinari, ad alta tecnologia, generano rumori assordanti: c’è la trivella che scava, la macchina che raccoglie la terra e la ingurgita per lavorarla nel suo pancione lungo e ciccione. Ricordo il suo antenato, sempre presente nel lavoro dei muratori, che a me bambina appariva come un simpatico animale bianco con quella grande bocca piena e golosa di masticare la terra a ritmo di rock, altro che tutto questo fracasso! Le mie giornate sono ormai stravolte da questi rumori inarrestabili. I tappi nelle orecchie sono come le cure palliative. I doppi vetri servono a poco. Accendere la televisione o la radio non mi aiuta, al contrario aumenta il mio stress che galoppa inesorabilmente.
Siamo alle soglie della Pasqua e gli operai mi hanno informata che il lavoro proseguirà ben oltre le festività. Proprio oggi credo di aver trovato una soluzione per non dover sempre fuggire di casa stravolta. Chiudendo sia i vetri sia le porte delle due stanze, mi sono posizionata nel bagno, naturalmente con la porta e la finestra chiuse. Qui, infatti, il rumore si avverte più attutito. Mi sono accomodata sulla tazza chiusa e devo convenire che come luce, il sole vi fa presto capolino, è la stanza più bella della casa. Ho anche inserito davanti al gabinetto una sedia della cucina, a mo’ di scrivania, dove ho adagiato il mio pc. Qui le uniche interferenze sono date dagli acri odori della cucina bengalese al piano di sotto e dello scarico del bagno al piano di sopra.