
di Sonia Azzella
Immagina tornare a casa dopo il lavoro
gli occhi umidi dal cuore in fiamme
per il prolungato parlar d’amore.
Immagina un cielo blu e una città rossa
fuoco e lacrime alimentarsi
tra il solito brusio stradale.
Immagina il passo svelto
di un corpo stanco
stretto, chiuso in un cappotto scuro
in cui scompare
per poi riapparire,
capelli al vento.
Poi stop:
un cerchio di gente silente
raccolta attorno.
Una macchina distrutta in una teca,
in una piazza ferventemente
immobile.
Immagina avvicinarsi e trovare
sotto i propri occhi
i resti di una morte collettiva,
tentativo di spegnere una voce, grida che chiedono
giustizia,
a causa di qualcosa che è tutto il contrario di quel tanto parlato
amore.
Leggere i nomi di Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani,
Francesca Morvillo e Giovanni Falcone:
Capaci, 23 maggio 1992.
Immagina tutta questa gente attorno:
c’è chi racconta quel che sa a chi ne sa troppo poco,
chi legge ascolta o resta fermo a guardare,
chi trattiene le lacrime e chi le lascia fluire,
chi telefona a qualcuno per il bisogno di parlare.
C’è anche un bambino
che alza lo sguardo e chiede al papà
che cos’è?
Ora immagina lui, con la voce spezzata, che gli prende la mano e gli dice
vieni, vieni che ti racconto.