di Paola M.C. Fasano

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Il telefono suona. Rispondo senza esitazione. So che è lei, nessun altro avrebbe chiamato così tardi la sera.
Come stai? dico aspettandomi la solita voce calda che racconta della sua vita intensa, di nuovi progetti, di lavori in paesi lontani.
Sei seduta? mi chiede e mi dà il tempo di deglutire una paura vuota che mi punge lo stomaco.
Aspetta, mi accendo una sigaretta. Sono pronta.
Lui ha un’amante.
Non ci credo! Non è possibile, sei gelosa e ti sei messa in testa chissà cosa. Tuo marito ti ama, lo sanno tutti che ti adora, parla sempre di te come di una dea!
Lui ha un’amante, ripete con una voce più scura.
Raccontami cos’è successo, chiedo. Mi manca il respiro.
Da tempo riceveva messaggi di notte, andava in bagno a leggerli. Aveva cambiato le password della posta elettronica, aveva diviso i conti in banca. All’inizio ho fatto finta di niente, poi, un giorno, sono scoppiata. Senza giri di parole, gli ho chiesto se avesse un’altra. Sai, amore, gli ho detto, mi sono accorta dei tuoi ritardi sempre più frequenti, delle balle che mi racconti sul lavoro da finire in ufficio nei fine settimana, di quanto sei distratto e dimentichi tutto. Parliamone. Hai un’altra, è così? Un’avventura si può capire. Ci conosciamo dal liceo, stiamo insieme da sempre.
L’ho visto esitare, arrossire perfino. Ha negato. Non me la sono sentita di insistere, ma da quel giorno, per me, quel pensiero è diventato martellante, avvertivo tra noi una presenza divisoria, ostile. Allora, mi sono decisa a indagare. Sono riuscita a leggere le sue mail, ho trovato lettere infuocate. L’ho pedinato: usciva dall’ufficio con una collega, sempre la stessa, una biondina più vecchia di lui che gli si strisciava contro come una sanguisuga. Ho scoperto che andavano in quell’albergo a ore, quello che dicevi che sapeva di muffa quando ci andavi con quel tipo che hai conosciuto su MeetMe. Ma di cosa mi stupivo? Avevo trovato le ricevute accartocciate nei pantaloni da mandare in lavanderia. Magari le aveva lasciate apposta per farmi sapere. Li spiavo da un bar di fronte, restavano un’oretta, poi lei prendeva la metro e lui rientrava in moto. Un giorno mi sono detta che dovevo guardarla in faccia quella puttana dall’aria professionale nei suoi tailleur di taglio maschile. Sono andata in ufficio. Al ricevimento mi hanno fermata. No, non ho un appuntamento, non ne ho bisogno, ho detto. Quando lei mi ha vista è impallidita, ma ha finto indifferenza.
Allora, le ho detto, sei l’amante di mio marito? Ti piace, eh, lo so è molto bello. Come la mettiamo con il bambino che aspetto? È sbiancata. Di sicuro non sapeva che ero incinta, lui non gliel’aveva detto, era un dettaglio, forse. Si è alzata, mi ha accompagnata alla porta balbettando che non erano fatti suoi, che mi sbagliavo, che loro erano solo colleghi, solo amici. Lui avrebbe potuto confermare.
Ma non mi hai mai avvisata che eri incinta, grido.
Sì, lo sono da poco più di tre mesi, risponde quasi sussurrando.
E allora, cosa gli hai detto, dopo, a casa?
Gli ho raccontato che l’avevo vista e che le avevo detto del bambino. È stata un’umiliazione enorme, penso di essere stata travolta dalla rabbia, dalla paura, dal senso di responsabilità di un figlio che ora sento frutto di una violenza. Sto impazzendo, capisci. Passo ore a camminare e a pensare perché lui l’abbia voluto a tutti i costi. Io non me la sentivo ancora di diventare mamma, avevo tempo, un lavoro impegnativo e gratificante, la nuova casa, la nostra vita insieme piena di progetti. Ripensandoci, avevo dei sospetti su di lui da almeno un anno. Certi silenzi. Usciva a correre a ore strane. Quando facevamo l’amore era come volesse finire al più presto. Mi aveva messa sotto torchio, insisteva, diceva che sentiva il bisogno di un bambino. Ripeteva che voleva un figlio da me, che ero la sola donna che amava, la sola donna della sua vita. Così, un giorno di pazzia o di stanchezza ho buttato la pillola e due mesi dopo l’ecografia ha mostrato un fagiolino scatenato in ottima salute. Lui è arrivato a casa con un mazzo di rose rosse e una bottiglia di Champagne. Saltava di gioia. Poi sono ricominciati i sospetti. Facevamo l’amore come sempre, lui era il mio ragazzo del liceo.
Invece mi tradiva e continuava a tradirmi.
Mi dispiace tanto e tu cosa hai fatto?

Gli ho proposto di restare con lui, di tenere il bambino, se lui avesse cambiato lavoro. Gli ho chiesto di essere sincero perché, se non intendeva mantenere la parola, avrei abortito. Andasse al diavolo, lui e quel figlio non nato. Mi ero informata, avevo ancora qualche giorno di tempo per abortire. Lui ha promesso, ha giurato sul suo onore. E io gli ho creduto, ho voluto credergli. Arrivava a casa sempre presto, facevamo tante cose insieme, gite in bici, aperitivi in locali romantici. Intanto il tempo per l’aborto è passato. Una notte mi sono svegliata, forse ero agitata, ho sentito il bip di un messaggio. Lui è scivolato giù dal letto, non respirava nemmeno per non far rumore, voleva essere certo che non mi svegliassi. È andato in bagno, c’è stato almeno mezz’ora. Allora ho capito, mi aveva incastrata, mi aveva manipolata. Era tutto chiaro, ci voleva entrambe.
Ho finto di non sapere nulla, ho pianto da sola come una pazza, mi sono graffiata, ferita, come meritassi una punizione.
La pancia aumenta, i vestiti diventano stretti, mi guardo allo specchio e mi vedo orribile, chi è quel mostro che cresce dentro di me, che osa farmi diventare una botte informe? No, non canto ninne nanne, non mi accarezzo la pancia, inforco la bici, pedalo per chilometri gridando la mia rabbia, insulto l’orco in me, spero che esca il feto morto. Non la voglio questa carne infetta che ha invaso il mio corpo! Lui mi ha preso in giro, capisci? Come posso liberarmene? Voglio dimenticare, voglio sparire.
Prendi il minimo necessario e vieni qui, starai tutto il tempo che vorrai, mi occuperò di te, insieme troveremo una via d’uscita. Sono certa che quando il tuo bambino nascerà lo amerai teneramente. Ora sei offesa, ti senti truffata. Abbi fiducia, la rabbia cederà all’amore.
C’è un treno che arriva domattina. Lo prenderò. Parleremo, ne ho bisogno, ma non illuderti, io voglio che lui sparisca dalla mia vita, dalla faccia della terra. Non c’è posto per il perdono, non avrò pace finché il suo ricordo non scomparirà dai miei occhi, dalla mia mente.
Ho bisogno di fuggire. Non ho trovato un’altra soluzione.