di Rachele Ricucci

Se non mi adeguo a questo sistema crepo.
Come a ricacciarmi dentro al corpo, con ironica puntualità, il rintocco delle campane mi ricorda che è troppo tardi, di nuovo.
Sono le 18.46, è il momento di fare i soliti due conti.
Mi aiuto con le dita intirizzite dal freddo cocciuto di gennaio e comincio.
Uno: di nascere sono nata, questo è indiscutibile. Me lo dice l’attestato di nascita.
In realtà il mio non l’ho mai visto ma mi fido, del resto -penso- è una questione di fiducia essere vivi. Allora anche oggi -metto mentalmente a verbale- ho fiducia di essere al mondo. Guardo il mignolo teso, conto sempre dalla fine della mano, e spingo con l’indice dell’altra un polpastrello ghiacciato, letteralmente algido.
Dubbio improvviso: non è che sono morta? Come posso essere viva con questa temperatura corporea, mi chiedo, è normale che in questa stanza ci siano 17 gradi?
Vengo scossa da una profonda rivelazione: sono viva perché sento freddo.
Una certezza l’abbiamo portata a casa.
Due: di crescere sono cresciuta.
L’anulare è il dito più difficile da controllare, ogni volta che tiro le somme, come adesso, al punto secondo resto paralizzata dall’incertezza e scarico sul polpastrello la pesantezza di certe conclusioni. Sono davvero cresciuta? Chiedo al tendine della mano.
La questione è grave, non mi resta molto tempo prima della cena, è una domanda a cui devo trovare risposta, è un check da inserire nella To Do List di oggi (e la cena anche).
D’improvviso penso che per quanto una stanza possa sembrare piccina, ad occhi chiusi diventa chiaro quanto spazio c’è. Buio.
Le palpebre sono la parte più insofferente del mio corpo, al momento: non amano srotolarsi. Sarebbe come abbassare la serranda di un negozio prima dell’ora di chiusura, non si fa.
E’ uno spreco di tempo, uno spreco di soldi. E a me serve una risposta, come sempre, subito.
Mentre resto ad occhi chiusi mi sembra di sentire il furore disinteressato di una molla che li spinge a spalancarsi. Sono davvero cresciuta?
Al buio, resto al buio.
Respiro e scopro che è un nero non troppo denso, direi, attraversabile. Sono cresciuta.
Me lo dicono l’attestato di nascita e l’attestato anagrafico.
Sicuramente non me lo dice l’attestato di laurea che sto aspettando di conseguire.
Freno l’istinto di cominciare un altro elenco per enumerare le competenze maturate in trentun anni, al netto della laurea: ho le dita già impegnate in un’altra conta.
Allento la presa sull’anulare, la sedia scricchiola e il suono mi torna familiare.
Sono a casa mia.
Sento una voce: quante bollette hai saldato senza l’aiuto di qualcuno, quanti soldi hai buttato in tasse universitarie, come fai a definirla casa tua, sei solo in prestito.
Riconosco i miei pensieri-ghisa, i miei pensieri-fango.
So che sono una lega ferrosa battuta negli anni dall’educazione all’intransigenza, so che sono la melma che precede l’inciampo.
Ragiono, ancora ad occhi chiusi, che mi manca essere bambina, anche se già a quel tempo avevo imparato che l’amore è un dono che va meritato.
Negli interstizi della mia memoria cieca, che seleziona il buio nel buio per abitudine, trovo un ricordo-lucciola e ne seguo il chiarore. Sì, sono cresciuta.
Allontano i pensieri dal limo dei retaggi e faccio spazio a nuove idee, a quelle risposte celate nello spazio e nel buio che non mi sarei mai sognata.
Se fin qui ho investito tempo a fare e disfare le tele la risposta è una sola: sono un ragno. Assurdamente, mi accorgo che la proposta non è male, se crescere vuol dire evolversi, chi mi vieta, all’occorrenza, il cambio di specie?
Apro gli occhi perché non ci ho mai visto meglio, al pensiero della laurea imminente sorrido, sono cresciuta e mi sono servita di otto arti per ricostruire le macerie mie e degli altri.
Ho la certezza non canonica di essere una giovane adulta e mentre controllo e depenno il punto due qualcosa in me si emoziona si fa strada.
Punto tre: produci.
È la volta del dito medio, lo tengo pigiato sempre con l’indice della mano destra e mi chiedo: produco? Al momento produco ricchezza poca e ansia molta, combatto con il tempo che mi vuole al passo con qualcosa che è fuori dalla mia portata, mi confronto con aspettative che non so se sono mie. Guardo la lista con le sue piccole caselle: nasci, cresci, produci… Produco? Se non mi adeguo a questo sistema crepo. Lo ripeto accompagnando il fiato, diffondendolo in modo deciso ma gentile, con la concentrazione di chi soffia il vetro ad arte.
Sono una massa vitrea e incandescente che aspetta di ricevere la forma, la più preziosa e completa che si ottiene soffiando una figlia, una donna, una carriera, una mamma. A soffiare troppo la forma si spezza e in un attimo sento di non essere vetro ma scheggia. Libero il dito dalla tensione della conta, mentre l’emozione dentro di me prende il sopravvento. Stasera vivo, cresco e scelgo di non controllare alcuna lista. E sceglierò anche domani una strada che sia mia, col mio cuore-bussola.