di Anna Maria Brigida

Se volessi riassumere in breve la mia vita dovrei dire che ho sempre avuto un vorace bisogno di amore e un’incapacità a saziarmene. La depressione viene dopo.
Tra i miei primi ricordi di bambina c’è un palloncino che vinsi, non so come, alla festa della Madonna di Siponto a Manfredonia. Uscii fuori sul terrazzino e lo vidi volare in cielo. Il cielo non era bello perché me lo aveva portato via.
Con le mie due sorelle, spesso cantavamo tenendoci per mano e ricordo quella parola che solo io non riuscivo a pronunciare bene: selle invece di stelle. A colazione, la mattina, le mie sorelle buttavano nella mia tazza il latte rappreso che a loro non piaceva e io le lasciavo fare.
Feci amicizia con una bambina che abitava di fronte a noi dall’altra parte della strada. Comunicavamo dai nostri balconi. L’amicizia crebbe a tal punto che chiedemmo alle nostre famiglie di incontrarci. Quel pomeriggio ero io che andavo a casa sua insieme a mia sorella di un anno più grande, accompagnate da papà. Mentre scendevo le scale tenendomi stretta al corrimano, mia sorella, approfittando della distrazione di papà che chiudeva il primo portone, si mise al centro delle scale e dicendo io scendo senza appoggiarmi, fece un ruzzolone che la portò di volata al secondo portone. Quindi la visita all’amica saltò. Papà ci riportò a casa e fui consolata dal vedere mamma che allattava l’altra sorella piccola.
Mia sorella mi fece un altro tiro che mi ferì profondamente. Ero all’Università di Bari dove andavo solo a sostenere gli esami. Non ricordo se ero al secondo o al terzo anno: papà decise di mettere i termosifoni a casa, tra maggio e giugno. Chiesi a mia nonna Felicia di studiare da lei: acconsentì, non solo, ma mi preparava un bel panino e una mela togliendo il torsolo con quel gesto deciso ed elegante che spesso mi ritorna in mente. Mia sorella mi raccontò di aver aperto il cassetto della consolle della nonna e di averlo trovato pieno di scarafaggi. Una volta che la nonna era andata a comprare la merenda per me, fui tentata da quella bugia, aprii il cassetto: non era vero. Purtroppo non riuscii a richiuderlo. Ricordo lo sguardo tagliente della nonna che non disse niente e io non me la sentii di accusare mia sorella. Non andai più da lei. Studiai a casa con i muratori che mandavano avanti il lavoro dei termosifoni. Mi beccai un’anemia che si manifestò con il prolungarsi delle mestruazioni per tutto il mese di maggio. Ne parlai, alla fine, con mia madre e lei lo riferì a mio padre. Lui aveva un amico ginecologo che mi fissò un appuntamento. Mandamela non ti preoccupare. Vi andai sola: come mi vide sentenziò che era una forte anemia. Mi diede una cura ormonale e tutto sembrò ristabilirsi.
Non so dopo quanto tempo venne a casa a trovarci mio cugino, il primo, con nome e cognome del nonno paterno. Lo accogliemmo sedendo attorno al tavolo della sala. Gli facemmo notare che si era spelato, perdeva i capelli. Lui sottolineò che è peggio per una donna avere la barba. Questa frase mi fece male: avvertii che era indirizzata a me. Appena andò via, andai a guardarmi allo specchio della camera da letto dei miei genitori e vidi che effettivamente avevo la barba, una peluria diffusa su tutto il viso.
Mi venne un esaurimento nervoso. In quel periodo preparavo l’esame di Storia della Filosofia 2. Andai a sostenerlo: rimasi muta e il professore capì che stavo male: mi mandò via senza sbarrarmi il libretto (cosa che all’epoca si faceva). Lasciai i libri per tre mesi. Poi mi feci aiutare da un’amica a ripetere ciò che avevo già studiato. All’esame, finalmente, il professore mi chiese un argomento a piacere: io scelsi Cartesio e presi 30.
Restò il problema dei peli che non avevo mai avuto sul viso. I peli li avevo sulle gambe e sulle braccia, come sul ventre e vicino al sesso, dovuti questi al rasoio che usarono in clinica per l’operazione di appendicite (appendicectomia). Non erano così esagerati.
Al primo esame all’Università, mi colpirono due studentesse gemelle, che avevano le braccia come le mie. Nel posto letto che presi a Bari c’era una ragazza che, allo specchio, si toglieva i peli dal mento con la pinzetta. Io stessa usavo a casa il rasoio di papà per toglierli dalle gambe perché portavo delle calze velate. Papà si accorgeva della manomissione e lo diceva a mamma. Mamma veniva da me e si raccomandava: con il rasoio vengono più lunghi (e più ispidi, dovetti convenire). Io però negavo. Avevo bisogno di un aiuto per il viso: non seppi collegare la comparsa dei peli con gli ormoni presi per far cessare il ciclo. Non credo che il ginecologo me lo disse né io lessi le informazioni del farmaco. Avrei potuto confidarmi con mia madre: mi vergognavo e non mi fidavo delle mie sorelle. Sognai una volta che mi erano cresciuti peli talmente lunghi e a onda sulle braccia da sembrare capelli: una vera ossessione! Poi ho risolto con la ceretta, anche con l’ago e ora con il laser. Il problema continua ma lo gestisco con leggerezza. Al contrario mi preoccupa la depressione, forse ho ancora paura di guardarmi dentro in profondità. Eppure cerco di farlo ogni giorno: apro a caso il Vangelo, leggo il brano che mi viene sotto tiro e medito con gli occhi chiusi in silenzio. Dura una mezz’ora, la verità sulla mia vita mi viene incontro e io la riconosco anche se è doloroso accettarla. Così ho scoperto, recentemente, di essere bipolare: mi sono riconosciuta nel racconto di una donna, ammiratrice di Alda Merini, come lo sono io. Come Alda lei è bipolare. Ne ho parlato con il mio neurologo che, all’inizio è andato su tutte le furie: ci conosciamo dal 2008 e non mi hai mai parlato di suicidio! Questo dovevi dirmi e non tutte quelle esperienze mistiche e spirituali non riguardanti il mio lavoro! (a mia discolpa dissi che me ne vergognavo), ma poi ha convenuto che è vero. Mi ha cambiato la cura, e malgrado tutto quello che comporta soprattutto in fatto di sonnolenza, sento che adesso è diverso, quasi fossi un’altra persona.
In realtà è la vera me che viene alla luce lasciando cadere ogni corteccia che l’avviluppava, non mi sento più in colpa, per me è quasi una rigenerazione.
Scritto bene, interessante, coinvolgente. Mi sono sentita con te, davanti allo specchio, in università, con quella sorella un pò stronza, scusa. La depressione è un cane rognoso. Ne so qualcosa. Spero tu trovi la cura giusta. Intanto scrivi bene. Non è poco. Grazie
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